Puos. Innovazione e passione dietro il successo di Renzo

La Locanda San Lorenzo ha festeggiato martedì i 120 anni di attività. Il segreto dello chef: «Per farcela bisogna essere “malati” di questo lavoro»

PUOS. La Locanda San Lorenzo compie 120 anni. Era il 7 gennaio del 1900 quando Osvaldo Dal Farra aprì l’osteria diventata ben presto un punto di riferimento per tutto il paese di Puos. Il nipote e oggi titolare Renzo Dal Farra, che martedì sera ha riunito gli amici nel locale per un brindisi, racconta come nel dopoguerra (1953), dopo un periodo di cinque o sei anni trascorso in Belgio, i genitori Noris e Ottavio abbiano preso in mano l’attività trasformando l’osteria in una trattoria con cucina e poi anche in locanda con camere.

«È stato agli inizi degli anni Otttanta che noi figli, ispirati da mio fratello più grande, Osvaldo (venuto a mancare nel 2004), abbiamo iniziato la nuova avventura», spiega Dal Farra, «avevo 17 anni e Osvaldo, che aveva 9 anni più di me, insegnava a scuola e ci aiutava quando poteva. Io lavoravo in cucina con mamma, mentre nostro padre teneva il banco e faceva l’oste. Poi a metà degli anni Otttanta, con mia moglie Mara e mia sorella Sandra, abbiamo completamente preso in mano la conduzione del locale, un fatto che ha coinciso con una baruffa tra me e mia madre, che da quel giorno non ha più voluto mettere piede in cucina».

Avete messo mano a locale, una volta subentrati nella gestione?

«Sì, nel 1987 abbiamo pensato di dividere il bar dalla sala da pranzo. A mezzogiorno venivano a mangiare gli operai i piatti del giorno e alla sera funzionava il ristorante specializzato in primi piatti con il menu in tavola. Lavoravamo ancora in famiglia, con un paio di dipendenti al massimo, quindi con un rischio d’impresa ancora contenuto».



Gli inizi del nuovo corso come sono stati?

«Non facilissimi, molti amici ci hanno seguito sperimentando la nostra nuova cucina, altri si sono un po’ allontanati, ma in generale diciamo che abbiamo ottenuto la fiducia dei nostri clienti. Dagli anni Novanta in poi c’è stato un crescendo e un consolidamento dell’attività attraverso la ricerca di accostamenti, l’innovazione, la predilezione di prodotti locali, pur allargando anche la fornitura di eccellenze provenienti da altri luoghi. Un percorso continuo di miglioramento e di ricerca sulla cucina cui è seguita, con il tempo e su insistenza di mia moglie, anche una particolare cura dedicata alla sala da pranzo e all’accoglienza».

Quando è arrivato il primo riconoscimento importante?

«Nel 1997, con l’acquisizione della stella della guida Michelin, un riconoscimento che conserviamo con cura, una prima legittimazione importante che ha premiato il nostro impegno e il nostro lavoro e che ci ha spinto a continuare a crescere. Oggi l’azienda, pur rimanendo a conduzione familiare e animata dallo stesso spirito di allora, conta 15 dipendenti. Siamo una realtà consolidata in questo settore, ma non ci sediamo sugli allori, continuiamo a cercare e a sperimentare sempre nuove idee e soluzioni. Gli accostamenti e la ricerca di sapori nuovi sono un nostro chiodo fisso».

Dove si sta avviando oggi la ristorazione?

«Verso un’omologazione, che non credo sia un valore. Rodolfo Sonego diceva che da noi le cose avvengono vent’anni dopo che in America. La realtà gli dà ragione, basta guardare al fenomeno delle catene della ristorazione, le uniche che oggi hanno i mezzi economici per affermarsi. Nasceranno ancora posti come il nostro, ma ci vogliono progetti ad hoc per creare luoghi come la Locanda, e soprattutto bisogna essere “malati” di questo lavoro come lo siamo noi. Per noi la cucina è una passione e il nostro lavoro riconosce e dà spazio alle eccellenze e alle coltivazioni del nostro territorio che negli ultimi anni si sono sviluppate sempre di più e continuano a farlo. Non abbiamo però sposato la moda della ristorazione a km zero, è soltanto uno dei nostri cavalli di battaglia insieme alla continua ricerca di vini e prodotti di eccellenza di altre terre».



La prossima pubblicazione di Slow Food sulle “donne di sala”, che sarà presentata il 22 gennaio a Treviso, riserva una gradita sorpresa per voi...

«Sì, davvero gradita, in quanto uno dei capitoli del libro è dedicato a mia moglie Mara che da sempre si occupa della disposizione e dell’accoglienza in sala da pranzo. Siamo infatti tra i fautori del presidio dell’agnello dell’Alpago, nato in Locanda nel 2000 dal nostro incontro con Petrini».

Quale futuro immaginate per questa vostra attività?

«Saranno probabilmente mio figlio Damiano e mia nipote Angela a continuare la tradizione di famiglia, supportati da uno staff di collaboratori di grande livello, come già avviene oggi». —


 

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