Quando il brand fa la differenza: De Rigo ci crede
La responsabile marketing Barbara e il futuro «La mia famiglia ha strategie ed entusiasmo»

BELLUNO. «Credo che il futuro dell’occhiale stia nel brand, nell’azienda che li produce, ancor più che nella griffe». Parola di Barbara De Rigo, un nome, una garanzia di innovazione nel settore, se è vero che proprio all’azienda De Rigo si deve l’intuizione di aver portato il business dell’occhiale da sole nei negozi degli ottici (eravamo negli anni’80) e anche la scelta lungimirante di collegare la produzione alla distribuzione (con l’acquisto di intere catene di negozi). Oggi lo scenario è ancora in grande evoluzione.
Il 2016 è iniziato con un doppio colpo che ha scosso il mercato internazionale dell’occhiale: la Luxottica che si allea con Essilor, colosso della lente; Marcolin che si sposa con Lvmh. Cosa cambia?
«Cambia tutto, niente sarà più come prima. Ma viviamo in un mondo che risente ormai direttamente di ogni evento mondiale. Quindi l’importante è mantenere la voglia di esserci, e la nostra famiglia oggi è più convinta che mai, di fare bene il proprio mestiere, di avere una strategia chiara e un’altrettanto fondamentale capacità di essere flessibili. Così si evitano le crisi, così si ottengono i risultati».
Diceva che resta la forza del brand...
«Sì, in una fase di così forte cambiamento, caratterizzata specialmente nell’occhiale da sole da un’offerta smisurata (li si trova ormai dappertutto, nei negozi di abbigliamento, nelle catene Fast Fashion, su Internet, sulle bancarelle), credo che si debba puntare più che mai sulla forza del brand, sulla storia dell’azienda. E le griffe non potranno che scegliere proprio chi una storia ce l’ha».
Come la De Rigo, creata da un’intuizione di Ennio De Rigo, classe 1940, nato a San Nicolò Comelico, quindi trasferitosi a Cortina, con l’impresa edile creata con il fratello Walter, e poi convertito sulla via dell’occhiale.
«Mio padre fa parte di una generazione di imprenditori che ha dato molto alla nostra terra e al nostro Paese. Lui e mia madre Emiliana (di cui non sottolineerò mai abbastanza l’importanza, in famiglia e in azienda, da sempre punto di riferimento del Commerciale Italia e degli ottici italiani) mi hanno insegnato tanto, soprattutto a lavorare sempre con impegno e umiltà, contando sulle proprie forze. Mio padre, con il quale ho un ottimo rapporto umano oltre che professionale, per carattere è riluttante a mettersi in mostra, ma questo non gli ha impedito, ad esempio, di comprendere tutta la forza innovativa della pubblicità, come si chiamava negli anni’80, quando decise di investire sulla stampa e sponsorizzare una trasmissione televisiva cult per i giovani, come la “Super Classifica Show” di Maurizio Seymandi, in onda su una rete privata allora esordiente come Canale 5. La sua lungimiranza e la passione smisurata per il lavoro gli hanno consentito di fare scelte innovative, come quella di dar vita ai marchi Police e Sting, o di acquistare Lozza, un intero pezzo di storia dell’occhialeria italiana, e di rilanciarla; di anticipare il mercato invadendo le vetrine degli ottici con l’occhiale da sole; e ancora di attorniarsi dei manager giusti».
Sulla tolda di comando della De Rigo oggi si trovano, accanto al presidente Ennio, il consigliere delegato Michele Aracri; il figlio Massimo De Rigo, vice presidente con responsabilità su progettazione e produzione; il genero Maurizio Dessolis, vice presidente vicario con deleghe per amministrazione, finanza, retail. E la stessa Barbara De Rigo, responsabile marketing e comunicazione. Era destino. Barbara De Rigo è nata nel 1967 a Cortina, dove è vissuta fino a 24 anni. Studi al liceo linguistico ampezzano delle Suore Orsoline poi a Bologna, alla scuola interpreti, e quindi laurea in lingue a Milano. Rientrava a casa ogni due settimane per condividere la bellezza della conca ampezzana con gli amici di sempre. «A Cortina ho conosciuto e frequentato anche campioni di sci come Alberto Ghezze, Alberto Tomba, allievo di Roberto Siorpaes, Katia Ghedina, sorella di Kristian, e anche figli di industriali come Matteo Marzotto, Gianluca Vacchi, Alberto Zanatta della Nordica, le figlie di Giuliana Benetton e molti altri ancora».
Grande passione per lo sci, naturalmente, e per il tennis. Ma a Cortina ci torna ancora?
«Ogni tanto nel fine settimana, con mio marito Maurizio Dessolis e le nostre figlie Chiara e Valentina, da turista ormai. Credo che i Mondiali di sci del 2021 possano e debbano rappresentare un’occasione di rilancio, molto importante soprattutto per chi vive lì tutto l’anno».
Come è avvenuto il suo ingresso nell’azienda di famiglia?
«Ho sempre avuto una passione innata per le lingue straniere. Mia madre ha trovato un mio quaderno di seconda elementare in cui scrivevo che volevo fare la maestra di lingue, conoscere gente e luoghi diversi, comunicare. In pratica, se aggiungiamo la parola occhiali, questo è proprio il manifesto della mia vita. Vedere realtà diverse da noi è fondamentale per il nostro lavoro, in un mondo globale, ma che presenta tante differenze importanti anche nei paesi più vicini al nostro».
Quindi la sua carriera iniziò all’estero?
«Avendo studiato inglese e tedesco, ho iniziato a lavorare nella nostra filiale di Dusseldorf in Germania. Esperienza molto interessante anche perché là eravamo all’avanguardia a livello informatico, si lavorava con il palmare già nel 1993. Noi eravamo i primi ad avere agenti col proprio portatile, che consentiva un monitoraggio costante dalla sede centrale. Quindi sono rientrata in Italia e per comunicare utilizzavamo sempre il fax. Internet era ancora agli albori. L’evoluzione informatica da allora è stata travolgente».
Quindi ha iniziato dal commerciale estero?
«Sì, all’inizio del 1994 seguivo piccoli clienti esteri, poi sempre più importanti: un bel lavoro, ho goduto degli anni di massimo splendore, grandi soddisfazioni a livello di numeri, con una presenza già allora in una cinquantina di Paesi. Oggi sono più di cento».
Ora si occupa di marketing e comunicazione. Come concilia famiglia e lavoro?
«Per me la famiglia viene prima di ogni altra cosa, il lavoro richiede un grosso dispendio di tempo, di energia e di concentrazione. Si fanno i salti mortali, si lavora da casa, in macchina, la sera, ma è una sfida affascinante».
E oggi i suoi obiettivi?
«Due i principali: il rilancio di Lozza e la valorizzazione della nostra De Rigo, anche grazie agli altri due marchi di famiglia, Police e Sting».
A proposito di Lozza...
«Mio padre nel 1983 ha acquistato non solo un’azienda di occhiali, ma la storia stessa dell’occhiale in Cadore. Io paragono Lozza alla Olivetti per quanto ha saputo innovare e dettare la linea a tutto un settore. La Lozza non era soltanto l’azienda produttrice di occhiali meravigliosi (come ad esempio lo Zilo che furoreggia dagli anni’30 e che negli anni’70 provocava lunghe code di ottici alla fabbrica per accaparrarseli), ma era anche comunicazione (già agli inizi del’900 aveva iniziato a farsi pubblicità). Abbiamo acquisito, insomma, una vera e propria miniera di conoscenze, la cultura dell’occhiale, ma anche della gestione aziendale: la Lozza, ad esempio, aveva la sua banda musicale, la sua squadra di calcio interna, show rooom in tre importanti città italiane, espositori e materiali per i punti vendita assolutamente innovativi. Io sto recuperando quella immensa miniera di spunti e sto cercando di far apprezzare il marchio Lozza alle nuove generazioni. Con risultati davvero interessanti».
E Police? E Sting?
«Con orgoglio dico che sono due brand creati da noi. Police è un brand globale che è andato oltre il mondo dell’occhiale e oggi vanta un portafoglio licenze di tutto rispetto con profumi, pelletteria, orologi e bijoux. Lo scorso anno abbiamo aperto il primo negozio monomarca a Milano e abbiamo legato il prodotto a un calciatore del calibro di Neymar. Sono poi molto legata a Sting, che ha festeggiato nel 2015 i trenta anni, perché sento questo marchio un po’anche mio. Il nome, infatti, l’ho proposto io ai miei genitori, durante uno di quei lunghi viaggi che ogni settimana facevamo per andare a trovare i nonni in Cadore. Mio padre sosteneva che dopo il lancio di Police (1983) c’era spazio per un altro marchio. Io allora ero innamorata pazza delle canzoni di Sting e proposi questo nome. Fu accettato e nacque così il nostro pungiglione (sting appunto in inglese), indossato da tanti campioni, dai calciatori Gabriel Batistuta e Fabio Cannavaro a Michael Schumacher, ai cantanti Nek, Emma Marrone, Marco Carta, Francesco Gabbani, Fedez e molti altri. Sempre in linea con un pubblico giovane e sportivo. Come esordio (inconsapevole) nel marketing non andò male...».
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