Quando il viaggio iniziava dopo l’arrivo

Traumi, esperienze e scoperte dell’emigrazione riletti nelle lettere spedite in Italia. La prevalenza di fonti e argomenti maschili nella documentazione e un’eccezione: l’epistolario Fedretti  
Una documentazione prevalentemente al maschile - da intendersi sia come autori delle fonti che come argomenti di esse - è la causa principale della mancata conoscenza, che si sta colmando solo da alcuni anni, dell'emigrazione femminile, che pure è stata altrettanto importante, basandosi però proprio per questo motivo su fonti orali o su fonti indirette. E' questa, in sintesi, la conclusione del convegno sull'emigrazione femminile svoltosi venerdì e ieri a Pedavena e Seravella.


La seconda giornata di lavoro ha consentito di approfondire due tematiche in particolare, quella del viaggio e quella del «talian», la lingua degli italobrasiliani emigrati in Brasile del Sud a partire dalla metà degli anni Settanta dell'Ottocento. In più, Daniela Perco si è soffermata proprio sul ruolo femminile nella trasmissione del sapere, concentrandosi sull'epistolario di Maria Fedretti, cadorina, unico esempio di epistolario femminile in un genere che ha sempre visto un ruolo marginale o assente delle donne, che comparivano nelle lettere scritte dagli uomini solo nelle ultime righe, giusto quelle dei saluti a casa.


«La traversata oceanica è un'icona della migrazione», ha raccontato Augusta Molinari, «ma in realtà per gli emigranti rappresentava soltanto una parentesi. Per loro il viaggio diventava importante solo dopo, alla fine dell'esperienza, oppure in presenza di eventi che lo impedivano o rallentavano». Nemmeno nelle lettere a casa si parla del viaggio, si racconta di essere arrivati, al massimo ci si concedeva qualche deviazione sulla parte finale del viaggio, quella dopo lo sbarco, verso l'interno. Perché questo era una sorpresa, visto che tutti erano convinti di arrivare con l'approdo a riva.


La documentazione a disposizione sulle traversate è così ridotta, limitata ai diari di bordo o ai registri sanitari. L'analisi consente di capire alcuni dettagli, ma lascia aperti molti interrogativi. Di certo le condizioni di viaggio erano pessime, nonostante la presenza di due medici - a partire da inizio Novecento - e moltissimi passeggeri si ammalavano ed alcuni morivano. Rimane sottaciuto però l'universo di promiscuità, forse di violenza o di libertà addirittura, che caratterizzava il viaggio. Una promiscuità che secondo le autorità italiane costringeva a porre attenzione al problema della moralità, «ovviamente» femminile.


«Il caso linguistico del Rio Grande do Sul è controcorrente rispetto alla tradizione», ha spiegato Loredana Corrà, «Abitualmente la parlata di origine si conserva sino alla terza generazione, oppure prosegue anche oltre solo in piccole enclavi. Nel Rio Grande do Sul, invece, ancora oggi questa parlata si è conservata, modificandosi e integrandosi, soprattutto nelle zone rurali». Due sono poi le prevalenze presenti nel «talian» - termine che inizia ad essere utilizzato a partira dal decennio scorso, mentre prima si parlava genericamente di koinè - secondo gli studi compiuti dalla Corrà. Nella zona di Nova Prata prevale il vicentino. Nella zona di Caxias do Sul la parlata principale è quella feltrina. All'inizio gli emigranti erano dialettofoni, pur conoscendo i rudimenti dell'italiano ed essendo in molti casi scolarizzati ed alfabetizzati. Solo con la proibizione di parlare italiano decisa negli anni Quaranta da Getulio Vargas prese il sopravvento il portoghese. Questo segnò profondamente l'ambiente migrante, che per certi versi entrò in confusione d'identità sentendosi più lontano dalla propria patria d'origine, pur non sentendosi ancora brasiliano. (ip)

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