Quasi 40 mila bellunesi con “redditi da fame”

Non arrivano a diecimila euro. Spi Cgil si appella ai Comuni per la revisione Isee: «Costi troppo alti per pasti e assistenza domiciliare, che prima non pagavano»
17/05/2012 Roma, in corso alla Fiera di Roma il Forum della PA 2012. Nella foto lo stand dell' INPS Istituto Nazionale della Previdenza Sociale
17/05/2012 Roma, in corso alla Fiera di Roma il Forum della PA 2012. Nella foto lo stand dell' INPS Istituto Nazionale della Previdenza Sociale

BELLUNO. Dai dati diffusi qualche settimana fa dal Ministero delle Finanze relativi alle dichiarazioni dei redditi del 2015, confrontate con quelle del 2014, sembra che i bellunesi siano diventati un po’ più ricchi: 520 euro in più di media (da 19.416 euro siamo passati a 19.936). Dati positivi, dunque? Non è di questo parere il sindacato, in particolare quello dei pensionati dello Spi Cgil, che ha studiato i numeri e ne ha tratto le conclusioni.

«A guardare i redditi sembra che le cose stiano andando meglio» precisa infatti Renato Bressan, segretario provinciale dello Spi «ma purtroppo non è così». Prima di tutto sta diminuendo la popolazione e anche il numero delle dichiarazioni presentate.

In aumento c’è invece la disuguaglianza tra fasce di reddito e per tipologia di lavoro. «L’aumento del reddito per gli autonomi è del 5 per cento, per i lavoratori dipendenti del 3 per cento, per i pensionati del 2 per cento». Cioè i redditi più alti lo diventano ancora di più, i redditi più bassi ristagnano.

E sono tanti i redditi bassi. Nel Bellunese sono ben 38.149 le persone che in un anno hanno un reddito tra lo zero e i 10mila euro. Sono i pensionati che prendono tra i 500 e i 700 euro al mese; e sono coloro che hanno esaurito gli ammortizzatori sociali e non hanno trovato un altro lavoro.

I dipendenti pubblici si attestano come reddito annuo a 20-22mila euro, i lavoratori autonomi sopra i 35mila euro.

«I sistemi per diminuire la disuguaglianza tra le fasce ci sono, ma occorre metterli in atto. Penso alla leva fiscale. Siamo riusciti a portare la soglia della no tax area a 8125 euro. Ovvio che se questo limite si alza, restano più soldi nelle tasche di chi ha poco o nulla. L’altro strumento è alzare l’aliquota per chi ha un reddito sopra i 75mila euro, ridistribuendo alle fasce più deboli i maggiori introiti per lo Stato. Un ulteriore strumento è il welfare: occorre aumentare l’offerta di servizi alle persone meno abbienti, penso ad esempio alle rette universitarie che le famiglie con reddito basso non possono permettersi di pagare e questo approfondisce il divario e limita le possibilità di sviluppo per un Paese che vede i suoi giovani migliori emigrare in massa».

Nel Bellunese da due anni a questa parte, il sindacato sta conducendo una importante battaglia con le amministrazioni comunali, per la revisione dell’Isee, l’indicatore in base al quale chi ha reddito basso può accedere a diversi servizi, pagando meno o nulla.

«Abbiamo incontrato più di 40 amministrazioni comunali, portando dati e valutazioni, per chiedere di adeguare l’applicazione dell’Isee alle nuove normative che sono state approvate a livello nazionale due anni fa. Ebbene, solo 4-5 comuni si sono adeguati. Ma questo ritardo ha un peso sociale enorme. Infatti anche a causa dell’aumento della rendita catastale, addirittura del 67 per cento, molti pensionati, con pensioni basse, si sono trovati con un reddito che supera la base per l’Isee, come se improvvisamente fossero diventati ricchi. Ma non è così: per loro non è cambiato nulla, non è aumentato il reddito, semplicemente la loro casa di proprietà ha acquistato valore. E così abbiamo persone con pensioni tra i 500 e i 700 euro che si trovano a dover pagare dei servizi molto di più: penso ai pasti (tra i 4 e i 7 euro), o all’assistenza domiciliare (fino a 20 euro). Come può una persona che prende 500 euro al mese di pensione, pagare 5 euro per un pasto?».

La richiesta fatta ai Comuni di rivedere l’Isee, adeguando i metodo di calcolo alla normativa vigente, sta incontrando dei problemi. Ne stanno discutendo le due conferenze dei sindaci delle ex Usl 1 e 2. E finchè da questi incontri non esce una linea univoca, i Comuni non si muovono.

«Come sindacato abbiamo parlato sia con Massaro che con Perenzin, chiedendo di essere convocati con i nostri tecnici ai loro incontri. Noi sappiamo bene, perchè abbiamo in mano tutti i numeri di chi fa l’Isee e di chi ne ha diritto, dove deve essere posto il limite, l’asticella di accesso ai servizi».

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