Quattro anni alla commessa della Procura
BELLUNO. Condannata la commessa della Procura. Il tribunale ha riconosciuto Ginevra Esposito colpevole di rivelazione e utilizzo di segreti d’ufficio e accesso abusivo a un sistema informatico. La condanna pronunciata dai giudici Coniglio, Scolozzi e Cittolin ha superato la richiesta del pubblico ministero della Procura distrettuale di Venezia, Buccini: quattro anni di reclusione più le spese processuali, un risarcimento danni in via equitativa di 5 mila euro all’unica parte civile costituita Gallina, le spese della stessa costituzione e l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni.
Dopo la rinuncia agli ultimi quattro testimoni della difesa e le dichiarazioni spontanee dell’imputata, il pm lagunare ha parlato non di un giudizio morale, ma di un faticoso accertamento della verità: contestate 18.196 ricerche nel Registro generale, con una password “usata in modo illecito”, con lo scopo di venire a conoscenza di iscrizioni e procedimenti a carico di se stessa, del marito e di diverse altre persone. Le informazioni sarebbero state comunicate all’amica Livia Mateescu e a suo marito Massimo Cesco Bolla. La richiesta finale è stata di tre anni di reclusione, stabilito il vincolo della continuazione tra i due reati.
L’unica parte civile era Mario Gallina con l’avvocato Coppa. Un privato cittadino, che non aveva niente a che vedere con l’imputata; lui aveva affittato un appartamento a Mateescu e l’imputata aveva cercato notizie anche su di lui. Non c’è stata una richiesta precisa di risarcimento danni, che è stato stabilito in via equitativa.
Nell’apertura dell’arringa, l’avvocatessa Ancona ha puntato molto su indeterminatezza e genericità della prima parte del capo d’imputazione e sulle contraddizioni nella deposizione di Mateescu, concludendo per l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Il collega Lauria ha premesso che «questo è un processo nato dalla spasmodica esigenza di trovare un capro espiatorio per un sistema colabrodo. Un pregiudizio da parte dell’allora procuratore Pavone, un eccesso di potere. Mai visto un accanimento del genere. La procura di Belluno ha fatto accertamenti che già competevano a quella distrettuale di Venezia, tanto è vero che alcune consulenze non sono utilizzabili. Non ci difendiamo dal processo, ma nel processo: per la rivelazione e utilizzazione di seggreti d’ufficio gli atti vanno restituiti al pubblico ministero, mentre per l’accesso abusivo la richiesta è l’assoluzione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato».
Non ci sono state repliche e nel pomeriggio la sentenza di condanna: 90 giorni per le motivazioni sulla base delle quali Ancona e Lauria hanno già annunciato appello: «Confidiamo nell’assoluzione in secondo grado». I fatti sono del 2012 e non manca più molto alla prescrizione.
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