Quattrocento imprese si sono rivolte al Prefetto per continuare a produrre
BELLUNO
Sono circa 400 le domande (un centinaio al giorno praticamente) giunte sul tavolo del prefetto Adriana Cogode da parte di altrettante aziende che chiedono di poter restare aperte, in quanto la loro attività risulterebbe indispensabile, benché non contenute nei codici Ateco del governo, per la filiera produttiva. Il lavoro di analisi delle singole domande è partito lunedì tramite il tavolo virtuale istituito dalla Prefettura con Camera di Commercio e Provincia con il supporto delle associazioni di categoria e della Guardia di Finanza. A ieri tutte le domande giunte sono state analizzate e tre attività sono state sospese: si tratta di una fioreria, un’azienda di giardinaggio e una di servizi di supporto. Queste dovranno chiudere nel momento del recepimento della notifica prefettizia.
Per il presidente della Camera di commercio Mario Pozza «è un buon segnale il fatto che ci siano così tante imprese che inoltrano la domanda: vuol dire che di aziende ce ne sono ancora molte in provincia. D’altra parte», prosegue Pozza, «l’attività di filiera ha la sua valenza e le deroghe non sono chieste per capriccio, ma per motivi fondati. Le autorizzazioni date dal Prefetto di Belluno, infatti, arrivano dopo uno studio attento reso un po’ difficile dalla confusione generatasi dopo l’uscita dei decreti che modificano i codici Ateco».
E parlando di filiera Pozza evidenzia come «l’aver inserito nel decreto anche le macchine agricole significa dare una possibilità alla filiera agroalimentare ora fondamentale. Pensiamo a chi imbottiglia il latte o i succhi di frutta: il settore agroalimentare in Veneto ha un giro di affari di 2,5 miliardi all’anno. Se fermiamo questa filiera significa far entrare nel nostro Paese la concorrenza straniera. Dobbiamo, invece, il più possibile salvare i posti di lavoro», prosegue il presidente Pozza, «e quindi trovo incomprensibile l’atteggiamento del sindacato che vuole chiudere tutto. Se ci sono le garanzie per lavorare in sicurezza, si vada avanti. In Cina, quando è scoppiata l’epidemia a Wuhan, si è potuto chiudere le fabbriche di questa città perché c’erano tutte le altre delle altre regioni che continuavano bene o male a produrre. Qui da noi non si può fare: per cui ogni fermata implica una difficoltà a ripartire. Gli imprenditori, in questo momento», conclude Pozza, «devono programmare il futuro in vista della ripresa delle attività: si deve già iniziare a pensare ad impostare le produzioni in attesa del ritorno alla normalità».
Ma su questo ricorso in massa ai Prefetti per tenere aperte le fabbriche interviene la Fim Cisl veneta. «Giungono dai territori parecchie segnalazioni che molte aziende stanno inviando comunicazioni, peraltro molte non condivise con le rsu, ai Prefetti per richiedere le prosecuzioni dell’attività produttiva perché sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere. Non vorremmo scoprire o segnalare ai Prefetti che alcune richieste mascherino tentativi delle aziende di mantenere aperta l’attività anche se non necessaria», dice Massimiliano Nobis. —
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