Il 28 marzo a Quero la prima pietra d’inciampo bellunese, nel 2026 toccherà a Mel

Isbrec al lavoro. Bacchetti: «Stiamo cercando di capire dove vissero gli ebrei tra il 1941-1944»

Adriana Lotto ed Enrico Bacchetti, direttore di Isbrec
Adriana Lotto ed Enrico Bacchetti, direttore di Isbrec

Dopo quella che sarà apposta a Quero il prossimo 28 marzo, che è la prima in assoluto in provincia, ci saranno altre “pietre di inciampo” nel Bellunese. Ci sta lavorando l’Isbrec per un’iniziativa simile da fare a Mel, probabilmente il prossimo anno.

Mel e Quero sono due dei 16 comuni bellunesi che dal 1941 e fino al febbraio 1944 ospitarono ebrei stranieri, arrivati da Polonia, Austria e Yugoslavia e confinati in Italia. In totale furono 181.

Dopo l’8 settembre 1943, con l’arrivo dei tedeschi, molti fuggirono verso sud o verso la Svizzera. Ma una cinquantina venne catturata e la gran parte morì nei campi di sterminio. Gli ebrei arrivati a Quero furono 45, a Mel 27, a Feltre 17, a Sedico 14, solo per citare i gruppi più numerosi.

Ma cosa sono le cosiddette “pietre di inciampo”? Parliamo di sanpietrini coperti da una piastra di ottone in cui sono riportati i dati della persona uccisa, il nome, la data di nascita, quella della cattura, il lager di destinazione e la data di morte.

Enrico Bacchetti, direttore dell’Isbrec, spiega che si sta lavorando per la posa delle pietre a Mel.

«In passato ne abbiamo parlato con l’amministrazione comunale di Borgo Valbelluna che si era detta disponibile. Ora stiamo cercando di capire bene dove sono le case in cui le famiglie degli ebrei hanno vissuto tra il 1941 e il 1944 e dove sono state catturate e avviate allo sterminio».

Ma i deportati bellunesi in Germania sono molti di più dei 52 ebrei stranieri. E le notizie sono spesso incerte, senza contare gli ottant’anni che sono trascorsi dalla fine della guerra.

«Come Isbrec vorremmo riuscire a realizzare un lavoro organico, completo: ma è un impegno enorme, non c’è un unico archivio da cui pescare, ce ne sono tantissimi, anche perché i deportati bellunesi appartenevano a categorie diverse, lavoratori coatti, militari, oppositori politici, civili senza alcuna responsabilità o ruolo, semplicemente catturati durante i rastrellamenti o le retate nei paesi: clamoroso il caso di San Pietro di Cadore, dove furono presi in 133», aggiunge il direttore Bacchetti.

Durante il suo lavoro da direttore dell’Isbrec ha messo insieme un migliaio di schede, relative però solo ai deportati politici, ai partigiani, ai civili bellunesi finiti nei campi di concentramento.

Ma questo numero, secondo le ricerche della storica Adriana Lotto, è molto al ribasso: lei, infatti, stima che i civili bellunesi incarcerati siano almeno 1600-1800. —

MA.CO.

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