Rapimento in Libia, trattative in corso per la liberazione
SEDICO. Dal 19 settembre Danilo Calonego, il tecnico di 68 anni di Peron, è nelle mani dei sequestratori in Libia assieme al collega piemontese Bruno Cacace e all’italocanadese Frank Boccia. Da allora, solo silenzio. Fino all’altro giorno quando Alberto Manenti, direttore dell’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterni), Alberto Manenti, ha riferito sul caso nel corso di un’audizione al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Manenti ha chiarito che sono in corso contatti per arrivare al rilascio dei tre ostaggi, anche se finora non sarebbero giunte richieste da parte del gruppo dei sequestratori, presumibilmente criminali comuni.
Il direttore dell’Aise, come riferito dalle agenzie di stampa, ha ricostruito la dinamica del rapimento che sarebbe avvenuto a opera di una decina di uomini armati che hanno bloccato l’autista dei lavoratori che faceva anche da scorta ed era armato. Nei giorni immediatamente successivi al sequestro era divampata la polemica proprio sulla presenza o meno della scorta armata garantita della Conicos, la ditta per cui lavorano Calonego e Cacace.
Secondo quanto ha riferito Manente, il rapimento è stato frutto di un’operazione pianificata, portata a termine da persone che conoscevano bene il territorio ed erano al corrente dei movimenti dell’auto. I sequestratori, poi, sapevano che quel giorno c’era un solo uomo di scorta. La presenza in Libia del tecnico di Peron e del collega piemontese non sarebbe stata nota all’intelligence. Già in passato, tuttavia, per analoghe vicende, dal Copasir era arrivato l’invito a regolamentare i viaggi di connazionali in Paesi ad alto rischio.
L’ipotesi prevalente al momento è che gli ostaggi siano ancora nell’area dove sono stati rapiti, a Ghat, anche perché le forze di sicurezza della municipalità hanno presidiato le possibili vie di fuga. Intanto uomini dell’intelligence sono sul posto per arrivare ad una soluzione. Contatti sarebbero in corso nella zona dominata dall’etnia tuareg, senza tuttavia che sia giunta una precisa richiesta da parte del gruppo. Finora si è sempre parlato di criminali comuni, ma non va dimenticato che nell’area ci sono presenze jihadiste, alcune legate ad Al-Qaida. C’è dunque sempre il rischio di un passaggio di mano dei prigionieri. Intanto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, intervistato dalla Stampa, ha commentato: «Lasciamo lavorare i nostri apparati e le forze di sicurezza».
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