Rapina simulata per l’assicurazione

Cortina. Il gioielliere Verni non aveva la copertura per il furto di tre Rolex: se la cava con i lavori di pubblica utilità
CORTINA. Gioielliere simula una rapina. In realtà, aveva subito un furto di tre Rolex e per questo tipo di reato non era assicurato. Alberto Verni diceva di aver perso 250 mila euro, nel suo punto vendita di Corso Italia, e per la rapina sarebbe stato risarcito dalla compagnia di assicurazione. Il 69enne gioielliere di Riccione, molto attivo nel settore dei preziosi e centri benessere a Riccione, Cortina, Pesaro, Fano e Calcinelli di Saltara, se l’è cavata con 196 ore in quattro mesi di lavori di pubblica utilità al Comune di Cortina, e questo ha estinto il reato.


Ieri mattina il giudice Berletti non ha potuto che pronunciare una sentenza di non doversi procedere per la buona riuscita della messa alla prova, anche su richiesta del pm Rossi, d’accordo il difensore Cason (sostituito da Dolif). Inoltre ha fatto una donazione di mille euro a “Insieme si può”.


Nel casellario giudiziario non rimarrà dunque traccia di questo procedimento penale che era cominciato il giorno dell’Epifania di cinque anni fa, alla stazione dei carabinieri di Cortina. In quell’occasione Verni aveva denunciato una rapina nel negozio di gioielleria e antichità. Una persona non meglio identificata era entrata e aveva dato una spinta alla commessa, mandandola contro un mobile. La donna era l’unico ostacolo verso quattro orologi svizzeri di grande valore e molto costosi.


I militari avevano avviato le indagini arrivando a conclusioni talmente diverse che Verni è stato denunciato per simulazione di reato. Non c’era stata alcuna rapina, semmai un furto di tre orologi della stessa marca; il fatto è che per il semplice furto l’uomo non aveva la copertura assicurativa. Ecco perché aveva descritto i fatti a modo suo, sottolineando che la dipendente era stata spinta dal malvivente, finendo contro il mobilio. Evidentemente non sono stati trovati riscontri al suo racconto.


Il suo difensore ha potuto chiedere la messa alla prova, vista la pena prevista e l’imputato ha ultimato con successo il periodo di lavori di pubblica utilità concordati con l’Ufficio per l’esecuzione penale esterna. Doveva fare 180 ore e ne ha fatte 16 in più: e scatta il “non doversi procedere”.




Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi