Reolon e l’acqua, «la battaglia va avanti»
BELLUNO. Siamo nel 2011. Sergio Reolon, consigliere regionale del Pd, presenta un progetto di legge sulle derivazioni d'acqua dai fiumi bellunesi. L'acqua, per lui, è l'elemento vitale che non può essere in alcun modo intaccato. Fa parte della stessa bellezza di questo territorio. «Tra la proliferazione continua di centraline idroelettriche e la valanga di richieste per nuove concessioni, la situazione ormai è fuori da ogni controllo», è la convinzione di Reolon. «Visto che non c'è più tempo da attendere, a meno che non si voglia portare il Veneto all'emergenza ambientale, ho depositato un progetto di legge, per lo stop immediato e temporaneo a ogni procedimento autorizzativo. Faccio in questo senso appello a tutti i consiglieri regionali e al loro buon senso». Reolon non chiedeva l'impossibile, semplicemente la sospensione per un breve periodo (non più di 90 giorni dalla sua entrata in vigore) delle procedure autorizzative, al fine di consentire alla giunta regionale di regolamentare la concessione di derivazioni finalizzate alla produzione di energia idroelettrica. Sei anni fa in Regione si trovavano depositate in lista d'attesa ben 125 domande di concessione. Oggi non siamo distanti da quella cifra. E Reolon è morto.
Resterà senza eredi la sua “eredità” su temi così delicati come quelli dell'acqua, dalle derivazioni idroelettriche alla gestione del demanio idrico, passando per la garanzia del deflusso minimo vitale nei corsi d'acqua, la prima battaglia vinta da Reolon, dopo anni di snervanti lotte, soprattutto con l'Enel? «No», risponde l'onorevole Roger De Menech, il più autorevole esponente del Pd, «cercheremo di attualizzare i tre principi che Sergio ha portato avanti in questi 25 anni di impegno per la tutela delle acque».
Il primo: la produzione di energia idroelettrica non può essere considerata “pulita” soprattutto per l'impatto sui corsi d'acqua e sulle comunità attraversate. Il secondo: il “governo dell'acqua” (e questo concetto lo riteneva centrale nelle sue politiche) doveva stare nelle mani delle comunità locali, cioè non poteva essere un ente esterno (Stato o Regione) a decidere la costruzione di sbarramenti e la quantità dei prelievi. Il terzo: il principale elemento da tutelare rimane il paesaggio, considerato nella sua complessità e interezza.
De Menech non ha dubbi: «Questi principi sono stati alla base delle conquiste avvenute negli ultimi 25 anni, come il minimo deflusso vitale e le competenze sul demanio idrico solo per citare le più importanti». «Sottolineo anche l'intelligenza di Reolon di non limitare il campo d'azione alla sola sfera politica, ma di aprirsi ai contributi della comunità scientifica e all'opinione pubblica. Credo sia importante ricordare in questo ambito due figure come Renzo Franzin, direttore del Centro Civiltà dell'Acqua, e di Toni Sirena, che ha contribuito a far crescere un'opinione pubblica attenta ai temi dell'acqua».
Ma adesso, senza Sergio e senza Franzin, e con un Sirena che continua a tallonare, come peraltro fa l'associazione Tina Merlin? «Ora bisogna continuare sulla strada tracciata», insiste De Menech. «Il tema dello sfruttamento idroelettrico dei corsi d'acqua è un coacervo di interessi confliggenti. Industriali, ambientali, turistici, di bilancio per i piccoli comuni, ricreativi per i pescatori e per tutte le attività che vengono limitate o semplicemente cancellate ogni volta che un nuovo impianto viene costruito. Oggi l'Italia è il paese europeo che incentiva maggiormente la produzione di energie rinnovabili e tra queste c'è anche l'idroelettrico. Se perfino molti settori dell'ambientalismo nazionale sono disposti a cedere sulla produzione di idroelettrico rispetto alla produzione di energie fossili è chiaro quali siano le difficoltà da affrontare».
Considerate queste complessità, secondo De Menech bisognerebbe tentare di fare tre cose: ridurre gli incentivi sull'idroelettrico; attuare una pianificazione degli interventi, oggi regolata solo dal mercato, e affidare alla Provincia di Belluno il governo delle concessioni, non solo delle nuove richieste ma soprattutto di tutte quelle già esistenti. «Non so se ci riusciremo, ma se c'è una cosa che Sergio ci ha insegnato», conclude l'esponente del Pd, «è che da uomini e donne pubblici, da rappresentanti del territorio, siamo tenuti a provarci».
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