Requiem per i boschi falcidiati dal bostrico: «È già troppo tardi per interventi efficaci»

Pettenella (UniPd): le piante malate ormai vanno lasciate dove sono. Il grido d’allarme dall’Alto Agordino: resteremo con un terzo degli alberi

Francesco Dal Mas

BELLUNO. «Quassù siamo destinati a rimanere con un terzo del bosco, se va bene. Il bostrico lo sta distruggendo e la sua corsa sembra inarrestabile. E qualcuno ha ancora il coraggio di proporre inutili collegamenti sciistici che interesserebbero l’unico bosco rimasto intatto. Siamo alla follia».

Il grido d’allarme è di Leandro Grones, sindaco di Livinallongo, alla vigilia di una primavera che potrebbe segnare l’ultimo “requiem” per i boschi dell’Alto Agordino. «Se ne va un patrimonio forestale inestimabile, sul piano naturalistico, paesaggistico ma anche economico. Un disastro annunciato causato da Vaia, acuito dalle nevicate di novembre 2019 e dell’inverno scorso. Noi siamo stati gli unici ad intervenire tempestivamente con la rimozione delle piante schiantate laddove ci era permesso di farlo e null’altro potevamo fare. Tante aree non si potevano toccare perché valanghive e i fondi per intervenire su quelle impervie non sono stati messi a disposizione. E quando tutti se ne renderanno conto, non so proprio quale potrà essere la reazione sociale».

Strategie da rivedere

Se fino ad un anno fa c’erano ancora studiosi in materia che proponevano il cordone fitosanitario intorno agli alberi rimasti in piedi, quelli sani, tagliando quelli bostricati per un raggio di 50 metri, oggi sta saltando anche questa ipotesi. Sarebbe ormai inutile e pericolosa.

«Le aree forestali infestate sono così estese – afferma Davide Pettenella, dell’università di Padova –, che sarebbe controproducente tagliare, perché si rischierebbe di compromettere, indebolire gli alberi in piedi, che resistono».

Anche ieri Grones ha compiuto una ricognizione tra i boschi del suo territorio. Gli piange il cuore, ma ammette: «Se vogliamo salvare il salvabile, è vero: non abbattiamo indiscriminatamente le piante secche, per non esporre al vento e all’eccessiva luce quelle ancora vive».

Pettenella parla di un “disastro senza precedenti”. È reduce dal varo recentissimo della “Strategia forestale nazionale”, da parte del Governo, del Mipaaf in particolare. È stato, infatti, il coordinatore del tavolo di preparazione. “Strategia” che, in attuazione del Codice Forestale, è finalmente in Gazzetta Ufficiale. E che ha già 30 milioni di euro di finanziamento, ma – avverte Marco Bussone, presidente nazionale dell’Uncem, l’Unione delle Comunità montane – ha bisogno di altri stanziamenti. «Questo, infatti, non è un documento fumoso, astratto ma un testo operativo, con scritte nero su bianco tutte le cose da fare nei prossimi vent’anni. È un testo tecnico ma al tempo stesso un manifesto politico, gestire attivamente le foreste è necessario per la sopravvivenza dei territori, per dare una spinta alla bioeconomia e alla transizione ecologica».

Cinque volte i danni di vaia

Tutti obiettivi, invece, che il bostrico rischia di far saltare sulle Dolomiti e specificatamente nell’Alto Agordino. A differenza, ad esempio, che in Val Visdende o in Cadore dove si è intervenuti per tempo.

«I problemi dati dal bostrico non sono inaspettati, assolutamente – afferma Pettenella –. Ricordo di aver partecipato ad un convegno a Belluno, pochi mesi dopo la tempesta Vaia, in cui il mio collega Andrea Battisti lanciava l’allarme: state attenti che, dalle esperienze in altri paesi europei, il bostrico nelle foreste in cui non si interviene subito dopo eventi come Vaia, può causare fino a 5 volte i danni della tempesta stessa. Ci siamo».

Ci siamo nel senso che i 10 milioni di alberi schiantati a fine ottobre 2018, dal Trentino al Friuli, passando in modo devastante per il Bellunese, potrebbero diventare 50 milioni?

«Purtroppo ci siamo, a sentire anche i miei colleghi» risponde Pettenella. «Le decisioni d’intervento dovevano essere prese ancora nell’inverno 2018/19, per prepararsi alla primavera. Invece ci si è preoccupati, in ambito regionale, solo della vendita, anzi della svendita degli schianti».

Perché svendita? Perché, a dire di Pettenella, i tronchi sono stati appunto svenduti a 15-20 euro al metro cubo, mentre se si fossero aspettati due anni il prezzo avrebbe potuto essere di 5-6 volte superiore. Ovviamente, precisa il professore, con i tronchi scortecciati e accatastati per bene in aree apposite.

E adesso, dunque? «C’è ormai poco da fare, come asseriscono i miei amici entomologi. Il bostrico c’è sempre stato nei nostri boschi, come le formiche. Ma quando cresce eccessivamente, va fuori controllo. Andare ora in bosco, eliminare le piante attaccate ed anche quelle limitrofe non è oggi l’intervento più appropriato, perché si indeboliscono gli alberi che rimangono e quindi li si espone al bostrico stesso. Bostrico, si badi, che ha dei nemici naturali, altri insetti che si cibano di esso, ma che debbono scontare gravi ritardi quando il bostrico è in così forte sviluppo. Se eliminiamo i tronchi dove si stanno sviluppando i nemici del bostrico, blocchiamo questo processo di autocontrollo della natura».

La natura troverà l’equilibrio

Quindi non resta che lasciar andare l fenomeno? «Sì, perché la natura ritroverà il suo equilibrio – risponde Pettenella –. Certo, per lunghi anni avremo i nostri bei boschi con grandi buchi, con macchie grigie inguardabili. Bisognerà avere un po’ di pazienza».

A sentire questa prospettiva, un sindaco – come Grones impallidisce. «Il ragionamento è giusto, ma al tempo stesso va detto che non possiamo rimanere inoperativi. Ad esempio dovremmo avere del personale specializzato per monitorare le nostre aree forestali e stabilire, più di quanto si è fatto fino ad oggi, dove tagliare e poi ripristinare, dove invece consentire il decorso naturale, dove reimpiantare e dove no, dove realizzare opere di difesa di abitati e strade utilizzando laddove possibile il legname bostricato».

Bene gli 11 milioni stanziati dalla Regione per le attrezzature, che non sono però vincolate al loro utilizzo per la lotta al devastante coleottero. Un’importante boccata d’ossigeno i 6 milioni del Governo, «che dovranno essere però integrati con ulteriori importanti risorse, ma bisogna affinare le strategie perché non è facile intervenire ora e perché serviranno un sacco di quattrini». Ed è quello che sostiene, nei fatti, anche Pettenella.

«Bisogna già oggi pensare nella prospettiva non dell’oggi, dell’immediato domani, ma in quella dei decenni, se non addirittura del secolo. Invece noi oggi ragioniamo nella prospettiva del giorno dopo giorno. Dovremmo ritornare alla gloriosa Amministrazione forestale di Veneto di qualche decennio addietro, quando appunto c’era una governace». —

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