Rianimazione, si “blindano” le offerte
FELTRE. “Sconfini di cura” resta confinata alla rianimazione. E l’aspirazione del primario Daniele Del Monte, e dell’associazione che ha fondato, di poter estendere il modello di abbattimento o riduzione delle barriere orarie ad altri reparti resta a mezz’aria. Ma i fondi raccolti dall’associazione, per tramite di altri sodalizi primo fra tutti Mano Amica, devono poter rimanere a disposizione dell’ospedale di Feltre per il progetto di assunzione della psicologa che sia di conforto ai pazienti, anche dopo che le due Usl saranno unite.
E questo è un punto fermo posto dal gruppo di associazioni feltrine che sostengono il “modello Del Monte” e che cercheranno una formula per blindare i soldi raccolti per il Santa Maria del Prato e dare continuità al progetto “rianimazione aperta”.
A un anno dall’avvio del progetto sperimentale della durata di un triennio, si sono contate tante attestazioni di stima e incoraggiamenti a continuare. Persino il Comune di Feltre aveva rilanciato l’appello per sostenere il progetto, per l’inserimento dello psicologo e per chiamare aziende, enti e cittadini privati, a una contribuzione per il prosieguo dell’iniziativa.
Il direttore Del Monte, che va in pensione dall’inizio del prossimo anno, da parte sua lascia una sorta di testamento ideale perché anche in un ospedale per acuti prevalga l’umanizzazione delle cure. E ha organizzato, con alcune associazioni alcuni sottogruppi di lavoro perché non siano disperse le energie e le risorse investite.
Ci sono infatti ancora fondi nel bilancio dell’associazione “Sconfini di cura”. Soldi che sono già in parte serviti per il comfort di chi assiste i parenti in rianimazione e per l’incarico a una psicologa che sia di conforto nell’unità intensiva.
Ne avanzano. Ma il destinatario è l’Usl che ha la titolarità delle donazioni. Così “Sconfini di cura” ha cercato e trovato le formule, appoggiandosi ad altri sodalizi, per affrancarsi dall’azienda sanitaria almeno per quanto riguarda l’utilizzo dei fondi a disposizione, per dare continuità al progetto della psicologa in rianimazione o anche in altre unità operative ove si senta la necessità di rinforzare, per i pazienti, la presenza di una specialista che curi anche l’anima.
La motivazione per cui è nata “Sconfini di cura” è quella dell’umanizzazione delle cure. In realtà, non nasconde il primario Del Monte, «la rianimazione aperta voleva essere una testa di ponte che espandendosi a macchia d’olio, coinvolgesse tutto l’ospedale». Ma non è cosa facile: «Nonostante incontri formativi e conferenze, ci si scontra qui, come altrove, con tanti dubbi e perplessità da parte dei colleghi».
Laura Milano
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi