Ridotti gli ospedali hub: il San Martino di Belluno è a rischio
BELLUNO. Nubi fosche si profilano all’orizzonte per la sanità bellunese. Almeno secondo quanto previsto dalla bozza del nuovo piano socio sanitario regionale presentato ai soggetti portatori di interesse. Il documento, che sarà presto portato all’attenzione della giunta e della Quinta commissione veneta, presenta delle novità che per il territorio provinciale non prospettano nulla di buono.
Ospedali. Si comincia con la riduzione da 7 a 5 degli ospedali hub. Come previsto nella bozza di piano, si definiscono strutture hub soltanto quelle che hanno un bacino di utenza di un milione di abitanti. Pertanto, Belluno sarebbe a priori eliminata. «È anche vero che nell’attuale piano sanitario Belluno non avrebbe dovuto avere l’ospedale hub, salvo poi essere introdotto dopo le proteste del territorio», fa sapere Renato Bressan, segretario dello Spi Cgil, che insieme con al collega Rino Dal Ben della Cisl e ai segretari delle due confederazioni sindacali Rudy Roffaré e Mauro De Carli sta seguendo da vicino la situazione.
«Se per essere ospedale hub serve un milione di abitanti, significa che Belluno, che fa 200 mila residenti, andrà a gravitare su Treviso che ne fa 800 mila», dicono preoccupate le parti sociali, paventando la trasformazione del San Martino in una struttura spoke. «Cosa questo significhi poi a livello di servizi assicurati ai cittadini è tutto da capire», precisano le parti sindacali, che ieri hanno incontrato il direttore generale dell’Usl 1, Adriano Rasi Caldogno, insieme con il direttore dei servizi sociali Gian Antonio Dei Tos per cercare maggiori spiegazioni su quanto preventivato dalla Regione. Ma anche dalla direzione strategica non sono arrivate garanzie, visto che ancora non si conosce dettagliatamente il piano socio sanitario veneto. «A questo punto è necessario lavorare tutti insieme per avere al più presto il documento della giunta e su questo iniziare a lavorare compatti per fare in modo che quello che abbiamo non ci venga preso, ma venga anzi potenziato», precisa anche Roffarè.
Il territorio. A dirsi preoccupati della situazione sono anche gli esponenti della Funzione pubblica della Cgil. «Oltre a una significativa rimodulazione delle cure primarie, quindi delle convenzioni con i medici di medicina generale», sottolineano Gianluigi Della Giacoma e Andrea Fiocco, «nessun cenno è stato fatto alle medicine di gruppo integrate, dopo la bocciatura della Corte dei Conti, cui ha fatto da contraltare, poche settimane fa, la scelta annunciata dell’Usl di attivare sette medicine di gruppo nel prossimo triennio. Colpisce, inoltre, un’ampia apertura al privato convenzionato, per risolvere tutte quelle situazioni dove la carenza di organico impedisce di assolvere in pieno alla funzione prevista. Grande attenzione è stata posta anche alla territorialità, per decongestionare gli ospedali, vale a dire gli ospedali di comunità che in provincia di Belluno ancora non sono arrivati». La Fp Cgil, quindi, denuncia il fatto che finora «si è tolto agli ospedali, ma non si è dato nulla al territorio».
I tempi. La cosa che spaventa di più i sindacati è che «il piano socio sanitario, secondo quanto ci è stato detto dall’assessore Coletto, andrà in approvazione entro due mesi, troppo pochi per poter cambiare qualcosa. Per questo è necessario avere presto il testo completo della riforma, solo allora potremo muoverci come territorio. Intendiamo portare avanti la nostra battaglia per la sanità in montagna».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi