«Riforma costituzionale tomba della montagna»

Il Comitato per il No del centro destra contesta la campagna del Pd che promette una maggiore autonomia nelle aree vaste come Belluno
Di Irene Aliprandi

BELLUNO. «Questa riforma costituzionale è la tomba della montagna». È sempre più intensa la campagna del fronte del No al Referendum costituzionale del 4 dicembre. Nella sola provincia di Belluno i Comitati per il No sono una decina e l’opposizione alla riforma ha costruito un’inedita alleanza trasversale. Ieri la componente di centro destra ha fatto tappa all’istituto Da Vinci, concentrandosi su quella che definisce “la beffa delle aree montane”, cioè la teoria in base alla quale la riforma riconosce l’autonomia delle aree montane e quindi anche di Belluno.

«Una balla», sintetizza il costituzionalista Daniele Trabucco, il tecnico scelto dal centro destra per la campagna anti riforma. «Della montagna non c’è traccia», spiega il senatore di Forza Italia Giovanni Piccoli, «è una comunicazione ingannevole, perché si parla di montagna solo per una suddivisione di competenze, ben lontana dal riconoscimento e rafforzamento di Trento e Bolzano».

Per capirlo «basta leggere l’art. 29 della riforma», incalza l’assessore regionale della Lega Nord Gianpaolo Bottacin. «Le Province (ordinarie) vengono abolite. Ora si parla di area vasta, ma è tutta da costruire e servirà una legge regionale non obbligatoria. La Provincia di Belluno, già allo stremo per i tagli al bilancio, viene uccisa». Bottacin torna anche sulle competenze in materia ambientale: «La riforma introduce un centralismo molto spinto, mai celato da Renzi. Centralizzare l’ambiente significa, ad esempio, che il trasferimento e il raddoppio dei canoni idrici a favore di Belluno (2006-2008) non si potrà più fare, perché la Regione non potrà più legiferare in materia ambientale. La riforma blinda definitivamente Trento e Bolzano e depotenzia tutte le Regioni a statuto ordinario. Per questo noi faremo un altro referendum, quello per l’autonomia del Veneto».

È Trabucco a spiegare tecnicamente “perché no”: «Basta legge il quarto comma dell’art.40 per capire che l’autonomia della montagna è una grandissima presa in giro. Le Province non saranno più un’articolazione dello Stato ma enti di area vasta. L’art.40 però è una norma finale, che rimanda tutto a leggi ordinarie con un’inversione di gerarchia che non dice nulla su cosa significa area vasta montana. Questi enti saranno deboli e Belluno non riceverà alcuna tutela dalla riforma costituzionale, anzi. È una balla anche l’elettività di questi enti, non c’è scritto da nessuna parte, ed essi saranno in balia del legislatore di turno».

Inoltre, come ricorda anche Piccoli, tutto si poteva già fare a Costituzione vigente.

«Parlare di montagna dovrebbe essere una cosa seria», dice l’ex senatore leghista Gianvittore Vaccari, «invece qui si fa mercimonio sulla pelle della nostra gente. Siamo molto preoccupati, perché questa riforma sarà la tomba della montagna». Per l’avvocato Raffaele Addamiano: «La riforma va in contrasto netto con il dibattito politico fecondo di questi 20 anni sul federalismo, basti pensare al potere dello Stato di imporre ai territori decisioni “in nome dell’interesse nazionale”».

Del Comitato per il No fanno parte anche il Bard: «Per il modo devastante in cui la riforma incide sulla nostra provincia, a differenza delle bugie raccontate dal Pd di De Menech»; e La Destra: «C’è grande preoccupazione per la cancellazione della rappresentatività della nostra provincia. Forse l’obiettivo era proprio togliere voce a chi reclama per il proprio futuro».

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