Risparmi in fumo: dentista bellunese fa causa alla banca
Dopo aver inutilmente chiesto indietro i propri soldi la banca gli ha risposto che non glieli avrebbe restituiti perché lui era da considerarsi un “abile investitore”
BELLUNO.
Maxi causa civile contro Banca Intesa San Paolo. Ad intentarla un dentista bellunese che chiede un risarcimento da oltre mezzo milione di euro. Motivo: gli investimenti dei suoi soldi in deposito si sono sbriciolati dopo che un dipendente della banca li avrebbe investiti in particolare in azioni Finmatica, la software house bresciana fallita nel dicembre di sei anni fa. Dopo aver inutilmente chiesto indietro i propri soldi la banca gli ha risposto che non glieli avrebbe restituiti perché lui era da considerarsi un “abile investitore”. In altre parole, al momento dell’investimento, il dentista conosceva bene i rischi a cui andava incontro. Accusa che lui respinge con fermezza. Ora, a districare la matassa è stato chiamato il giudice Federico Montalto. A gennaio prossimo l’udienza.
Tre le parti in causa davanti al giudice del tribunale civile di Belluno: il dentista (assistito dall’avvocato Paolo Perera), la banca (con l’avvocato Anna Rosa Bianchi Bridda) ed il bancario che ha gestito i soldi del dentista (avvocati Giorgio Azzalini e Claudia Alpagotti).
La vicenda risale ancora al lontano 1995 quando il libero professionista con avviato studio nel Bellunese aprì un conto corrente presso una banca con filiale in centro a Belluno: all’epoca Banco Ambrosiano Veneto, poi divenuta Banca Intesa San Paolo. Nel dicembre del 2000 il dentista sostiene di essere stato convocato in banca da un dirigente che gli prospettò la possibilità di investire il suo cospicuo conto in settori con migliore redditività piuttosto che lasciare il denaro in giacenza con un minimo tasso d’interesse. Fu in quell’occasione che al cliente fu presentato un dipendente della banca che gli propose d’investire il proprio denaro in operazioni varie, a basso rischio di perdita e con rendimenti di rispetto. Fin qui nulla di strano, o meglio è da qui in poi che le versioni dei fatti di banca e cliente divergono nettamente.
Secondo le accuse lanciate dal dentista, il bancario negli anni successivi avrebbe effettuato numerose operazioni d’investimento senza però tenerlo al corrente dei risultati. E le distinte del suo conto corrente erano sempre troppo generiche. Solo dopo insistenti pressioni il bancario, che più volte rassicurò il cliente sul buon andamento dell’investimento, a fine del 2005, gli rivelò che la società “Finmatica”, nella quale era stato investito gran parte del suo denaro, era fallita. Ma di non preoccuparsi che la banca, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe rimborsato il denaro perso. Solo che nell’aprile del 2006 al dentista venne comunicato dalla direzione che la banca non avrebbe rimborsato un centesimo in quanto era stato classificato come “abile investitore”.
La versione dell’istituto di credito, invece, diverge nettamente. In primo luogo il cliente, a differenza da quanto sostenuto, avrebbe ricevuto regolarmente tutti gli estratti conto dettagliati dei suoi investimenti e sarebbe sempre stato tenuto al corrente, in modo trasparente, delle operazioni effettuate. L’istituto di credito sostiene inoltre di non aver mai svolto alcuna sollecitazione su particolari investimenti né avrebbe mai fornito assicurazioni sull’assenza dei rischi degli investimenti. Secondo la banca il fallimento della “Finmatica” non avrebbe potuto essere previsto, in quanto fino al 2004 non era mai stata posta in discussione la solidità del gruppo bresciano.
Da parte sua, il bancario che avrebbe gestito i soldi del dentista, come “terzo chiamato” in causa, declina ogni responsabilità. Resta il fatto che nel marzo del 2007, quando la grana era ormai scoppiata, il dentista ha chiesto un accertamento tecnico preventivo al tribunale di Belluno. Il perito incaricato dal tribunale ha accertato che dagli investimenti effettuati per conto del dentista dal febbraio 1997 al giugno 2006 risultava una perdita di 520.000 euro. Ed è la cifra che ora il dentista chiede alla banca come risarcimento. Nel frattempo il bancario, che gli gestiva il conto, ha lasciato l’istituto di credito.
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