Rocca Pietore. Il regno dei gemelli Dorigo tra le nuvole di Malga Laste

I fratelli Ezio e Diego conducono l’azienda agricola a 1868 metri di altitudine. «Il segreto del nostro formaggio? Lo facciamo a modo nostro, piace così»

BELLUNO. A 1868 metri sul livello del mare e a 64 chilometri da Belluno si può vivere letteralmente fra le nuvole. Ezio Dorigo lo fa per due stagioni all’anno, da 30 anni, per lavoro e per vocazione, ma soprattutto per una pura casualità.

«Mia madre aveva una piccola stalla a Laste, dove io e mio fratello gemello Diego davamo sempre una mano. Nel 1989 siamo saliti a malga Laste per terminare la stagione, dopo che il pastore l’aveva abbandonata. Serviva qualcuno che tenesse le vacche del paese, altrimenti sarebbero rimaste da sole». Ormai che c’erano, i due fratelli hanno anche appreso come fare burro e formaggio: così è nata la loro avventura imprenditoriale.

Com’è stato l’inizio?

«Abbiamo fatto la prima stagione piena nel 1990, quasi per gioco. Diversamente avrei fatto il muratore o il falegname, perché quassù all’epoca tutti finivamo a fare quello. Poi ci abbiamo preso gusto: all’inizio tenevamo una quindicina di vacche, oggi in tutto in alpeggio ne accompagniamo una quarantina da latte, di cui una ventina nostre, più 50 asciutte. In tutto fa un centinaio di capi che pascolano attorno alla malga fino a Padon, da giugno a settembre».



Come va il lavoro?

«Ce n’è sempre e per fortuna abbiamo i nipoti che d’estate ci danno una mano con l’agriturismo: Walter ha 16 anni e studia per diventare falegname a Sedico, Marina ne ha 18 e studia a Belluno, Jacqueline 22 e lavora al consorzio impianti a fune di Arabba. Speriamo che fra di loro ci sia l’erede della nostra attività…».

La prossima sarà la 31ª stagione: cosa è cambiato?

«Fino al 2012 la nostra stalla era piccola, poi ne abbiamo costruita una nuova a Moè, la frazione dove viviamo. Siamo cresciuti e ci siamo allargati, ma non siamo cambiati molto, infatti abbiamo clienti che continuano a cercarci e a venire a trovarci da allora proprio per il tipo di prodotto che offriamo. Ci salviamo con la vendita diretta del prodotto d’estate e con l’aiuto che viene dalla famiglia, altrimenti sarebbe difficile farci il giro, per i costi di conferimento del latte, ma soprattutto per i problemi legati al pascolo estivo».

Sta parlando dei lupi?

«Esattamente. Stanno diventando un problema enorme, soprattutto per chi porta gli animali al pascolo in alto come noi, dove i prati sono scoscesi e inerpicati fra le rocce ed è impossibile pensare di recintare, anche se ora l’assicurazione ce lo richiede per accreditare i rimborsi. Non so perché ci sia stata questa impennata, ma il problema va in qualche modo contenuto. Non possiamo mettere tutti quegli animali in stalla e quelli che restano fuori… Ci sono i lampeggianti, ci sono i suoni, i fuochi che accendiamo di notte, ma non sempre bastano, perché il lupo si abitua e al momento è intoccabile. Abbiamo sempre più paura a portare le vacche al pascolo d’estate, non sappiano mai quel che può succedere».

Come vi organizzate il lavoro?

«Durante l’estate apriamo l’agriturismo sopra Laste dove offriamo i nostri prodotti, mentre d’inverno ci occupiamo delle nostre bestie e della stalla. I nostri capi si alimentano solo a prati, questo fa la differenza dei nostri prodotti. Offriamo un formaggio latteria e un altro più stagionato, ne abbiamo anche un paio di speziati con erba cipollina e cinque erbe, oltre che burro e ricotta. Io non ho fatto la scuola per casari, diciamo che il formaggio lo faccio un po’a modo mio».

Qual è il vostro cliente tipico?

«Ci sono molti bellunesi che vengono a trovarci e che chiedono i nostri prodotti. Certo, guai se non ci fossero anche i turisti! Da noi arrivano un po’ da tutte le parti, qualcuno anche dall’estero e grazie a mia nipote Jacqueline possiamo accoglierli al meglio perché è diplomata al liceo linguistico».

Siete una famiglia di “custodi del territorio”...

«Certamente. Quando abbiamo iniziato la malga era ridotta un rudere, l’abbiamo ristrutturata e ci occupiamo di sfalciare i prati e di tenere pulito il paese. Siamo vittime dell’abbandono della provincia cominciato negli anni Sessanta. Noi ci siamo salvati avendo in concessione da parte del Comune metà Laste da falciare, però non è facile recuperare tutti i prati, anche perché una volta che si rimboscano sono perduti».

Quanto è difficile vivere nell’alto Bellunese?

«Non è come vivere in città, ma ci si può fare. Ovvio, hai il primo pronto soccorso a 30 chilometri e non hai i negozi o la farmacia in paese, i miei nipoti devono fare chilometri per andare a scuola, non si possono fare corsi settimanali di teatro o di nuoto, però se ti accontenti la vita quassù è bella. Poi è anche vero che abbiamo così tante cose da fare che forse non pensiamo nemmeno a quel che ci manca. Certo, avere qualcosa in più anche per i paesi alti arricchirebbe, di sicuro non snaturerebbe la nostra montagna». —


 

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