Saccheggiò Feltre e Belluno, un libro ricorda Pippo Spano

Una veduta dall’alto di Belluno, a destra un quadro che rappresenta Spano
Presentato a Cividale un nuovo libro sul condottiero che nel 1411 saccheggiò Belluno e Feltre. Che sia stato un grande condottiero del '400 non c'è dubbio e che sia stato sempre un valido argine alle incursioni turche in Europa è altrettanto vero. Ma che sia stato benigno con il Bellunese proprio non lo si può dire. Filippo Buondelmonti degli Scolari, detto Pippo Spano, nato da umile famiglia fiorentina nel 1369, trovò in Ungheria una nuova patria, servendo lealmente il re Sigismondo e riuscendo addirittura a liberarlo allorché questi venne fatto prigioniero da Carlo d'Angiò. Fu così che si guadagnò il titolo di ispán (conte) di Temesvár, da cui l'appellativo, italianizzato, di Spano.
Distintosi nelle continue lotte contro i Turchi, in particolare tra il 1423 e il 1426, partecipò però anche alla spedizione contro la Serenissima di Venezia e nel 1411 invase il Friuli, saccheggiando Portogruaro, Ceneda, Serravalle, Belluno e Feltre, prima di essere in qualche modo fermato da Carlo Malatesta. Il 28 novembre dello stesso anno, assieme a re Sigismondo e con 6.000 cavalieri, entrò a Udine, che fu costretta a pagare una grossa taglia per evitare il saccheggio. E proprio a Cividale, pure da lui occupata, è stato presentato giovedì 15 settembre presso il Monastero di S. Maria in Valle il libro di Gizella Nemeth Papo e Adriano Papo "Pippo Spano. Un eroe antiturco antesignano del Rinascimento" (Ed. della Laguna).
Certo il personaggio è affascinante, specchio davvero dei tanti pregi e difetti tipici della nostra civiltà allora avviata verso la sua acmé politica ed artistica, e seguirlo nella puntuale ricostruzione della sua vita e delle sue gesta fatta dai due autori è assai utile per capire un periodo importante della storia europea e il faticoso divenire della nostra stessa identità nazionale. Soprattutto colpisce il fatto che per lui, come del resto per il grande Imperatore Massimiliano, altro nostro grande nemico 100 anni dopo, il discriminante tra odio ed amore, generosità e crudeltà, corra ancor oggi proprio sul Piave o sull'Isonzo: eroe munifico e benefico ad est, barbaro distruttore ad ovest.
Il Fabbiani nella sua "Breve Storia del Cadore" definisce tout court l'esercito di Spano "orda di ungheresi e boemi" e ricorda come in quei frangenti il Cadore avesse evitato per un pelo un'esiziale invasione di ungheresi dalla valle del Piave. Grazie alle sue grandi doti di politico il nostro riuscì a diventare addirittura governatore dell'Ungheria, morendo cinquantasettenne nel 1426, forse di gotta. I suoi resti furono sepolti a Székesfehérvár (Alba Reale), accanto alle tombe dei re ungheresi e al suo funerale partecipò lo stesso imperatore Sigismondo. Di lui oggi abbiamo il bel ritratto fattogli da Andrea del Castagno e conservato dalla Galleria degli Uffizi a Firenze. (w.m. - g.d.d.)
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