Sally, nata in Cina ma bellunese da 38 anni:«Non lavoriamo più, rischio di chiudere»
Tavoli vuoti, menù riposti ordinatamente sugli scaffali. Fornelli desolatamente spenti. Il coronavirus sta mettendo in ginocchio i ristoranti cinesi. Non importa se le attività sono gestite da persone che vivono in Italia da decenni: la psicosi del virus, che è partito dalla Cina e da lì si è diffuso anche nel Belpaese, ha svuotato i locali.
«Se continua così, ci toccherà chiudere», racconta Sally Ling Li, titolare del ristorante Pechino Tokyo non solo sushi bar. Attività storica della città, che a settembre di quest’anno celebrerà i trent’anni. Ma chissà se potrà esserci una bella festa. «A parte qualche cliente storico, non entra nessuno. E altri ristoranti sono messi anche peggio». Nel Padovano, ad esempio, c’è chi è passato da fare 600 coperti al giorno a non far uscire nemmeno un piatto dalla cucina.
«Neanche la Sars e la suina avevano creato un simile allarme», continua Sally. Eppure anche la Sars era una malattia molto pericolosa. «In tanti anni di ristorazione è la prima volta che vedo una cosa del genere».
Ma c’è di più, e quello che evidenzia Sally è preoccupante da un punto di vista umano: «Quando vado a fare la spesa, le persone mi guardano male». Qualcuno si allontana a distanza “di sicurezza”, perché Sally è nata in Cina e i suoi tratti somatici non lo nascondono. Non importa che la donna parli l’italiano meglio di tanti autoctoni. Nè che viva a Belluno da trentotto anni.
Era il 1981 quando si trasferì insieme al fratello Toni a vivere all’ombra delle Dolomiti. A Belluno Sally si è costruita una vita, è diventata mamma, è diventata un’imprenditrice.
Nello staff del Pechino ci sono cinesi ma anche tanti italiani. «In cucina al ristorante ci sono mio fratello e un cuoco, che è cinese ma vive in Italia da anni, una quindicina», continua. «È stato in Cina l’ultima volta una decina di anni fa, poi ha sempre vissuto qui. E in sala ho solo camerieri italiani». Ma non è sufficiente per tranquillizzare i clienti, che da giorni stanno ben lontani dai ristoranti cinesi.
«Il problema è che all’inizio si è parlato solo di cinesi, perché il virus è partito da Wuhan. Poi hanno cercato di ammorbidire, ma ormai il danno era fatto. E prima di riprendersi ci vorranno almeno due anni, non solo per noi, ma per tutta l’economia che è stata messa in crisi da questa situazione. Pensiamo anche al turismo: gli asiatici non stanno più viaggiando, ci saranno ripercussioni molto pesanti anche per questo settore».
«Non serviamo in tavola solo prodotti cinesi: frutta, verdura e carne la comperiamo qui», conclude la donna. «Solo i prodotti essiccati e le grappe arrivano dalla Cina. Non so cosa dire, sto solo pensando a come sopravvivere a quest’anno».
Parrucchiere chiuso
Un cartello affisso sulla vetrina del parrucchiere Modà (locale cinese) in via Matteotti annuncia la chiusura dell’attività fino al 2 marzo per prevenzione da coronavirus. Il titolare ha preso la decisione, si legge nel cartello, per la sicurezza dei clienti e per tutelare la salute dei dipendenti. —
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