Scialpinista si infrange su un cavo di acciaio: «Ho rischiato la vita»
Cavo d’acciaio nascosto sotto la neve. Scialpinista bellunese rischia la vita. È andata bene a Gianluca Rossi, nel senso che ha potuto raccontare la sua disavventura in Nevegal e ha in mano solo un certificato medico per lesioni al collo, a una spalla e alle due tibie, per una prognosi di sette giorni. Ma si trova ancora sotto shock, dopo aver fatto un volo incontrollato di una ventina di metri. Solo quando si sarà ripreso, andrà a presentare una querela.
Lo sportivissimo medico stava per incontrare la morte, su un colle che conosce come le sue pelli di foca, anche per aver fatto parte del Soccorso alpino. Quella di ieri era una giornata che sembrava fatta apposta per lo scialpinismo. Rossi è salito lungo la Faverghera, per arrivare al rifugio Brigata Cadore e fino a lì tutto bene. Quando si è trattato di scendere, ha imboccato un raccordo che conduce alla Coca ed è in quel breve tratto che ha trovato un imprevisto non segnalato: «Per fortuna, stavo procedendo piano», racconta con un tono di voce ancora agitato, «all’improvviso sono inciampato in un cavo di acciaio del diametro di tre centimetri, che ho sollevato con gli sci e mi è arrivato all’altezza delle tibie, facendomi volare per circa venti metri. Non potevo vederlo, perché era occultato sotto uno strato di neve perfettamente battuta e non era in alcun modo indicato».
L’effetto catapulta è stato spaventoso. Rossi si è ritrovato più a valle con i pantaloni lacerati, ferite sanguinanti e lo stato d’animo del sopravvissuto. Cosa ci faceva quella fune metallica e cos’è? «Si tratta di un cavo che si usa come verricello per i gatti delle nevi e in quel luogo non doveva esserci. Non c’erano gatti in giro e la neve era a posto: ho rischiato davvero di morire e posso dire di essere stato fortunato. Una trappola non segnalata».
Quel tratto era percorribile, senza prendere particolari precauzioni? «Non vado mai a cercare pericoli, visto anche il mestiere che faccio. I carabinieri mi hanno detto che era chiuso, ma nessuno lo sapeva e tutti gli scialpinisti passano di là, per tornare a valle. In questo momento, siamo più numerosi degli appassionati di sci alpino e bisogna saperci gestire, non farci fuori fisicamente. Presenterò una querela, perché questa non può certo passare». —
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