Sciopero di quattro ore all’Ideal di Trichiana, adesione al 90%

Sindacati soddisfatti ma preoccupati: «Il patto del 2015 con l’azienda prevedeva investimenti e sviluppo, che non ci sono ancora stati»

TRICHIANA. Il 90% dei lavoratori dell’Ideal Standard ha scioperato ieri, per quattro ore. In un territorio già colpito dai temuti ridimensionamenti occupazionali all’Acc di Mel, i 550 dipendenti della ex Ceramica Dolomite vivono come un incubo le incertezze che si stanno palesando sul patto firmato a maggio 2015 tra azienda e sindacato e destinato a valere fino al 2020, che in cambio di pesanti sacrifici a carico dei lavoratori prevedeva investimenti e sviluppo.

«Investimenti e sviluppo che alla prova dei fatti non ci sono», affermano le segreterie di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec. Alla luce della mancata concretizzazione degli impegni - il numero di piatti doccia da produrre a Trichiana, ad esempio, non sarebbe quello garantito - lo stesso ministero dello Sviluppo economico ha sollecitato un nuovo piano industriale per il biennio 2018-2020, ma l’azienda si è presentata priva di indicazioni, promettendo che l’avrebbe fatto quanto prima. Da qui l’alta adesione alla mobilitazione di ieri. Negli stabilimenti di Trichiana e Roccasecca (Frosinone) l’astensione dal lavoro è stata rispettivamente del 90 e del 100%. Tutti fuori pure i lavoratori della piattaforma logistica di Bassano Bresciano.

«Dopo questo straordinario risultato», aggiungono soddisfatti i sindacati, «l’azienda non ha più alibi: deve arrivare a più miti consigli, confermando gli impegni a suo tempo presi su investimenti ed occupazione negli stabilimenti italiani. Al governo chiediamo di convocare immediatamente il "board" della multinazionale per chiedere chiarimenti sulle intenzioni future».

«Gli impegni assunti a suo tempo dall’azienda non sono rispettati», aggiunge Nicola Brancher, segretario della Femca Cisl. «Ma i lavoratori sono stati chiamati ad importanti sacrifici. Ideal Standard deve sentirsi chiamata ad un supplemento di responsabilità».

Le organizzazioni dei lavoratori lamentano di non disporre ancora di nessuna conferma che l’azienda baserà i suoi progetti per i prossimi anni sull’intesa del 2015 che è costata la chiusura dell’impianto di Orcenico e sacrifici in busta paga a Trichiana. «Non disponiamo di elementi concreti per sostenere che la situazione sta prendendo una brutta piega», afferma Gianni Segat delle rsu di Trichiana, «ma ci sono tanti indizi che ci inducono a non stare tranquilli». Tra questi il timore che a Trichiana arrivi il forno di Orcenico, anziché il nuovo impianto che era stato promesso. E poi la possibile produzione in Bulgaria di una serie di pezzi. «E soprattutto la circostanza che al confronto col board europeo, richiesto dal Mise, voglia partecipare il ministro Calenda in prima persona. Evidentemente il governo è al corrente di informazioni che noi non sappiamo. Il che ci preoccupa».

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