«Sei mesi di tempo per ripartire»

Il presidente Piller Roner fissa il limite: «Abbiamo dei progetti»

BELLUNO. Ultima chance per il Consorzio Dolomiti, che da sei mesi ha smesso ogni attività a causa di problemi finanziari. «Ci siamo dati tempo fino a giugno per riuscire a ripartire», precisa il presidente, Fabrizio Piller Roner, unico rimasto a portare avanti il Consorzio (il resto del personale è stato messo in libertà). «In questo arco di tempo cercheremo di portare a termine dei progetti avviati con la Camera di Commercio e anche con la Provincia. Se non si riuscirà ad ottenere delle risorse, allora vedremo cosa fare».

Non è esclusa, quindi, nemmeno la chiusura. «Noi cerchiamo di tenere duro, di andare avanti, anche perché siamo l’unico legame coi privati. I soci, cioè gli operatori delle aziende turistiche e dei consorzi di valle, non vorrebbero certo chiudere questa struttura, perché significherebbe buttare alle ortiche 25 anni di esperienze e di lavoro», prosegue Piller Roner.

La questione del futuro incerto del Consorzio Dolomiti è però importante per la Dmo, la Destination management organization, che stenta a decollare. E qualcuno accusa proprio il Consorzio per questa situazione. «Non è colpa del Consorzio se sta boccheggiando. Noi viviamo con i contributi dei soci, che sono aziende e consorzi, i quali non navigano nell’abbondanza. La stessa Regione Veneto ha tagliato drasticamente i fondi, passando dai 5-6 milioni complessivi per il Veneto qualche anno fa agli attuali 160 mila euro per Belluno (e 800 mila euro per la Regione). Il paziente, come si capisce, risente, se vengono meno le cure. E così anche noi siamo entrati in stand by, annullando ogni attività. Il consorzio ha sempre fatto da collettore tra i consorzi di valle, ma ora siamo fermi».

«Noi», prosegue Piller Roner, «vogliamo essere della partita, gestendo la promozione, anche perché la stessa Dmo è stata pensata in seno al Consorzio Dolomiti. Ma attualmente non siamo in grado, per questi motivi finanziari».

Il presidente tiene a rimarcare che «ad oggi avevamo sempre lavorato sia con il pubblico, che metteva il 50% delle risorse, sia con il privato che metteva l’altro 50%. Ma se il pubblico viene meno, anche il privato si trova in difficoltà».

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