Sepolti i quattro militari restituiti dal Grappa

Toccante cerimonia ieri mattina al Sacrario sulla cima con centinaia di persone. Il generale Bonato: «Un sacrificio da onorare e che non va dimenticato»  
CIMA GRAPPA. «Per questi quattro ragazzi morti cento anni fa siamo stati come la famiglia e gli amici che allora non poterono piangerli e seppellirli». Il commento a margine della cerimonia di ieri mattina al Sacrario militare è del sindaco di Seren del Grappa, Dario Scopel, presente assieme a tutti i colleghi dei comuni che gravitano sul Monte Grappa. Ed è lo spirito con cui centinaia di persone hanno voluto partecipare alla commemorazione solenne dei quattro ragazzi che il Massiccio ha restituito nell’ultimo anno. Giovani senza nome, senza nazionalità, forse di quella leva del 1899 che l’Italia gettò nella battaglia proprio quando l’esercito si riorganizzò sfruttando le linee del Brenta, del Piave e del Monte Grappa. Giovani che finalmente hanno avuto una degna sepoltura e potranno riposare assieme ai 23 mila militari le cui spoglie sono custodite nel Sacrario.


Le salme sono state scortate dal picchetto degli alpini fino allo spiazzo dove il parroco di Crespano, don Francesco Mascotto, ha celebrato la messa. Le spoglie dei quattro militari sono state sistemate in piccole urne avvolte ognuna dal Tricolore. Nulla si sa sulle loro identità e il luogo di ritrovamento – due sul Col dell’Orso versante di Paderno, un altro sul Col dell’Orso versante Seren e il quatro rinvenuto in località Finestron nel comune di Cismon.. Tutti impegnati in battaglie che nessuno ha vinto, perché come ha ricordato il cerimoniere «sul Grappa si è solo resistito favorendo il successivo sfondamento della linea del Piave e poi la vittoria».


Sul Grappa vennero gettati nella mischia migliaia di diciottenni, quelli nati nel 1899. Moltissimi persero la vita, ma il loro arrivo servì anche a corroborare l’umore dei veterani, fornendo una spinta decisiva per decidere poi l’esito del conflitto. Al Sacrario è radunato un esercito imponente fatto di soldati di tante nazionalità, che non sono tornati a casa. «Un sacrificio che va onorato e non va dimenticato», ha sottolineato il generale Bonato, che poi ha voluto analizzare alcuni aspetti del conflitto: «Siamo solo noi italiani a definire Caporetto come una “disfatta”. Un’accezione negativa che però va oltre a ciò che accadde. Fu certamente un’enorme tragedia nella storia del nostro Paese e del nostro esercito, ma non fu una disfatta, non più di quelle subite in altre battaglie da francesi, inglesi, russi e rumeni. E poi la disfatta presuppone la fine di tutto. Non fu così e da quella sconfitta l’Italia trovo le energie per riorganizzarsi e riprendere la lotta».


Al sindaco di Crespano del Grappa, Annalisa Rampin, è toccato rappresentare tutti i sindaci presenti ieri al Sacrario militare di Cima Grappa: «È un momento particolare, per certi versi ancora più sentito perché ricordiamo i caduti di tutta Europa e in più accogliamo questi quattro ragazzi che non hanno avuto la fortuna di vivere la vita che avevano sognato. Ringrazio i tanti che sono presenti. Quelli che non ci sono, evidentemente non sente l’importanza di questa cerimonia ed è giusto che non ci sia».


Gli alunni delle classi terze della scuola media di Crespano ha accompagnato la cerimonia intonando l’inno di Mameli e successivamente, al termine della funzione religiosa, “Signore delle cime”. Una messa nella quale, don Francesco Mascotto ha messo a confronto quella leva del 1899 che si trovò a combattere sul Grappa con i coetanei, nati un secolo dopo, che a dispetto del benessere e delle comodità offerte dalla società d’oggi, rischiano di perdersi afflitti dal male di vivere: «I diciottenni nati nel 1899 furono gettati giovani in una cosa più grande di loro e molti morirono. I diciottenni nati nel 1999 non vanno al fronte, non devono combattere con il freddo e i pidocchi nelle trincee, eppure molti vengono sopraffatti da alcol, droghe sintetiche, vivono una vita parallela annebbiati dai social network, incapaci di un impegno vero e disinteressato nei confronti del vicino o della comunità. E noi adulti non siamo privi di colpe perché forse crediamo di avere già dato e non riusciamo ad essere un esempio credibile».


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