«Si deve risolvere il problema sicurezza»

Cadore. I sindaci sul piede di guerra chiedono che il punto nascita sia mantenuto: «Ci viene negato un diritto importante»

CADORE. «Ci stanno dicendo che il punto nascita di Pieve di Cadore non è sicuro; e noi, di fronte a questa situazione, non possiamo certo girarci dall’altra parte. Però i tecnici devono anche dirci come fare per mettere in sicurezza il servizio».

I sindaci del Cadore non ci stanno a veder chiudere il punto nascita di Pieve; chiedono piuttosto alla politica di prendere provvedimenti, garantendo il servizio anche a questa parte alta della provincia.

«A questo punto dobbiamo ritenere che sia meno pericoloso partorire in auto?», sbotta il primo cittadino di Calalzo, Luca De Carlo; che aggiunge: «Va fatto un ragionamento d’insieme che vuol dire attrezzare il punto nascita di Pieve così da essere sicuro per chi vi nasce e chi vi partorisce».

Poi De Carlo fa un paragone: «L’ostetricia di Pieve è come la strada di Praciadelan: d’inverno è pericolosa e potrebbe essere chiusa: ma noi invece abbiamo investito per tenerla aperta. Però serve impegno, e soprattutto serve la volontà politica per farlo. Praticamente i tecnici ci dicano come si fa a non far diventare pericoloso il servizio».

Punto fermo per i sindaci è il fatto che «dalla sicurezza non si può prescindere».

«Nessuno mette in discussione l’analisi dei tecnici, ma chiudere il punto nascita, per i nostri territori marginali, significa che chi deve partorire non arriva a Belluno», precisa anche Alessandra Buzzo, primo cittadino di Santo Stefano. «Credo che la nascita sia un momento particolare e lo dico io che di figli ne ho avuti quattro: deve essere garantita la salute non solo del bambino ma anche della donna. Per cui chi di dovere deve fare in modo che si preveda un finanziamento per mantenere il punto dotato di tutti i sacri crismi».

I sindaci chiedono che ogni ostacolo al permanere del servizio venga rimosso.

«Non possiamo chiedere una sanità moderna quando i contratti non lo sono. Il personale, dai medici agli infermieri, se la rotazione dei lavoratori è l’unica alternativa, va comandato: si mettano dei soldi, si programmi, però i diritti vanno garantiti», conclude laBuzzo; che lancia un appello a tutte le donne: «Spero che le donne prendano coscienza di quanto sta avvenendo e si sollevino, perché altrimenti altro che spopolamento...».

Sul risveglio delle coscienze incentra il suo intervento anche l’assessore di Pieve Roberto Granzotto, che affida a Facebook alcune sue considerazioni. «Sveglia Cadore, qui ci stanno massacrando, demolendo, ma la voce dei sindaci arriva flebile e di taluni non arriva per niente. Se il reparto di ostetricia di Pieve non è sicuro perché non ci è stato detto prima? E allora mi chiedo: gli altri reparti garantiscono la sicurezza, come il laboratorio analisi? Ci chiudono il tribunale, l’ufficio dell’agenzia delle Entrate, la ferrovia e ci dicono che tutto si fa per risparmiare. Qui ci stanno depredando con scuse diverse. Dobbiamo dire basta!», conclude Granzotto.

Preoccupazione esprime anche il primo cittadino di Auronzo, Daniela Larese Filon, la quale sottolinea come «anche quando hanno chiuso l’ospedale di Auronzo hanno iniziato in questa maniera. Il problema non è tanto per Pieve, i cui cittadini in mezz’ora arrivano a Belluno, ma per gli altri paesi distanti dalla struttura. Per queste aree cosa ci sarà? Già dobbiamo fare i conti con una fuga verso gli ospedali di San Candido e di Tolmezzo, dove si trova, evidentemente, una risposta migliore ai problemi. A Pieve di Cadore non c’è più un primariato se non quello del pronto soccorso e del Suem: che significhi qualcosa? C’è poi la questione Codivilla, di cui nessuno sa nulla. Il momento è difficile e dobbiamo fare fronte comune», dice Larese Filon. Intanto nel Cadore il malcontento serpeggia tra la gente e qualcuno annuncia manifestazioni importanti a salvaguardia dell’ospedale. I colpevoli di questa situazione sono indicati nei politici, e a loro si chiede di salvare la sanità in montagna.

Paola Dall’Anese

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