«Sì, ho sparato io a don Francesco Cassol»

Ultime battute nel processo a Giovanni Converso che ieri ha raccontato la sua versione dei fatti

BELLUNO. «Sì, sono stato io a sparare a don Cassol, ma non era mia intenzione uccidere un uomo. Io ero a caccia di cinghiali, mi scuso e mi dispiace tantissimo per quello che ho fatto». Ha ribadito la sua confessione Giovanni Ardino Converso, l’operaio 54enne di Altamura, unico imputato nel processo per l’omicidio di don Francesco Cassol avvenuto la notte del 22 agosto 2010 nella Murgia barese.

Durante l’udienza di ieri al tribunale di Altamura si è svolto l’esame dell’imputato (assistito dall’avvocato Raffaele Emilio Padron), che ha ribadito la sua colpa, o meglio l’errore commesso quella notte in cui andava a caccia di frodo all’interno del Parco Nazionale dell’Alta Murgia.

Converso si è scusato per il terribile esito del suo gesto e ha spiegato di essere indigente e quindi di non poter in nessun modo risarcire il danno che la parte civile ha annunciato di voler chiedere, senza ancora quantificare la somma affidata alle conclusioni.

A processo si sono cotituiti parte civile la famiglia di don Francesco Cassol e l’ente Parco Nazionale dell’Alta Murgia tramite l’avvocatura dello Stato, per il danno di immagine subito, con un conseguente pregiudizio di luogo poco sicuro a causa della presenza di bracconieri armati e poco precisi.

Dopo l’imputato, i giudici hanno ascoltato anche altri due testimoni della difesa, cacciatori locali che hanno confermato la presenza di cinghiali in abbondanza all’interno di quel Parco dove don Cassol, a quel tempo parroco di Longarone, si trovava in ritiro di preghiera e digiuno Goum insieme ad un gruppo di persone e aveva deciso di dormire all’aperto, sotto le stelle.

Il parroco e gli altri membri del gruppo non piantarono una tenda, ma decisero che un sacco a pelo poteva bastare.

L’operaio di Altamura, intenzionato a cacciare cinghiali, attività ovviamente vietata dentro il Parco, confuse la sagoma distesa a terra del prete per un animale selvatico e sparò senza considerare che al buio poteva essersi confuso.

Secondo la ricostruzione offerta dallo stesso imputato, Converso era solo quella notte e intendeva fare tutto da sè, per quanto trasportare un cinghiale morto non sia esattamente agevole. Dopo essersi accorto che aveva sparato a un uomo e non a un animale, l’imputato era scappato e per questo motivo, oltre ad essere accusato di omicidio colposo, deve rispondere anche dell’accusa di omissione di soccorso e infine di caccia abusiva, cioè all’interno di un’area naturale protetta.

Il processo è stato rinviato a fine maggio per la discussione e la sentenza.(i.a.)

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