Soffia 3,54 all’etilometro: fa ricorso ma se ne pente
AGORDO. Ricorre, poi ci ripensa. Dopo aver soffiato 3,28 al primo tentativo e 3,54 al secondo, un agordino, già condannato in primo grado e dalla Corte d’Appello di Venezia, aveva deciso di giocarsi tutto in Cassazione, a otto anni dall’esame con l’etilometro. Era il 6 agosto 2011, quando A.D. aveva stabilito un valore molto alto con la fiatata richiesta dalla pattuglia delle forze di polizia, che l’aveva appena fermato. Guida in stato di ebbrezza.
Dopo la sentenza veneziana del 24 settembre di tre anni fa, l’automobilista è arrivato a Roma con due motivazioni. Primo: violazione di legge e vizio di motivazione, perché secondo lui la penale responsabilità era stata accertata con delle prove inverosimili. Nel senso che l’unico sintomo era l’alito vinoso. Quanto all’etilometro, non era stata fornita alcuna prova del suo buon funzionamento, quello che si chiama accertamento di idoneità. Secondo: violazione di legge per la mancata sostituzione della pena di arresto e ammenda con i lavori di pubblica utilità, sui quali non toccava all’imputato indicare l’ente convenzionato con il Tribunale di Belluno nel quale svolgerli e le modalità di esecuzione di questa misura alternativa.
Quando ormai sembrava tutto pronto per il viaggio fino al “palazzaccio” romano di piazza Cavour, l’uomo ci ha improvvisamente ripensato: non se ne faccia più niente. Il suo difensore Cason ha prodotto una dichiarazione, nella quale preferisce rinunciare al ricorso. La settima sezione della Corte di Cassazione ha preso atto della mossa, ma non è che la vicenda potesse finire così. Alla fine di novembre, l’uomo è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di mille euro da versare alla cassa delle ammende. —
G.S.
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