«Solo una comune forma influenzale»: lo dicevamo anche della Spagnola

L’epidemia di cento anni fa provocò cinquemila morti in provincia. Dati e similitudini nella ricerca di Toni Sirena 
San Rocco, sulla facciata della chiesa di piazza dei Martiri a Belluno. L’edificazione del tempio venne decisa con un voto del 1530 in onore del santo protettore e guaritore degli appestati
San Rocco, sulla facciata della chiesa di piazza dei Martiri a Belluno. L’edificazione del tempio venne decisa con un voto del 1530 in onore del santo protettore e guaritore degli appestati

LA STORIA

Scrive un anonimo ampezzano a metà ottobre del 1918: “La chiamano febbre spagnola, ma il dottor Majoni me ne fornisce una sua propria teoria. Sarebbe, egli dice, una comune forma influenzale, aggravata dalle debilitazioni e dal denutrimento… In queste ultime settimane sono morte già otto persone”.

La storia della febbre spagnola nel Bellunese è raccontata da Toni Sirena nell’ultimo numero di “Protagonisti”, la rivista semestrale bellunese di storia e cultura contemporanea edita dall’Isbrec, che ha dedicato un numero monografico alle epidemie nel Bellunese. Argomento quanto mai di drammatica attualità, in tempi di Covid. Leggendo le 130 pagine della rivista si scopre che ci sono molte similitudini tra quello che avvenne tra il 1918 e il 1922, durante le tre – quattro ondate della febbre spagnola, o durante le altre epidemie dei secoli precedenti, rispetto ad atteggiamenti, opinioni, scelte che emergono oggi dai social, dai mass media o in generale nell’opinione pubblica.



Nella ricerca compiuta da Sirena negli archivi, spulciando le relazioni di parroci e sindaci o i diari di privati cittadini, non si trovano solo i dati bellunesi della nuova e misteriosa malattia, ma anche quelli veneti e italiani, per scoprire che le fonti sono quanto mai discordanti e incomplete. Nel mondo le vittime del coronavirus A/H1N1, conosciuto come influenza spagnola variano addirittura da 21 a 100 milioni. In Italia si stima che i decessi furono attorno ai 600mila, quasi quanti furono i caduti della prima guerra mondiale, ma secondo l’Istat sono stati circa la metà. Tra i tanti motivi che spiegano le difficoltà di un calcolo reale, c’è il fatto che molti decessi vennero attribuiti a polmonite, broncopolmonite, bronchite, complicazioni cardiache, respiratorie e cerebrali, tanto da far pensare che anche questi fossero in realtà legati alla Spagnola. E’ il confronto con i decessi complessivi degli anni precedenti che consente di capire cosa volle dire la Spagnola in Italia: nel 1918 i morti complessivi per tutte le cause furono 1.166.000 (esclusi quelli in zona di guerra, sia civili che militari), nel 1915, anno dell’entrata in guerra dell’Italia, erano stati 810 mila, compresi i caduti in guerra. Quanti di questi sono morti per influenza? Nel 1914 (influenza normale) erano stati 3.360, nel 1918 il dato balza a 274 mila, ovviamente dovuto alla Spagnola. In Veneto, senza tenere conto dei territori occupati (Bellunese, parte del Trevigiano e del Vicentino) si calcola che i morti per Spagnola siano stati 31mila.



Complicatissimo scoprire le vittime di Spagnola nel Bellunese. Per quasi tutto il 1918 la provincia fu territorio occupato e vigeva una stringente censura militare. Alla fine della guerra venne distribuito un questionario, in seguito all’avvio di una inchiesta sui crimini contro la popolazione civile compiuti dalle truppe austroungariche. Nel questionario erano previste tre cause di morte, malattia, inedia (morti per fame), fatti cruenti. Parroci e sindaci preparano le loro relazioni secondo le quali i morti nel Bellunese durante l’occupazione furono 10.800 (il dato ufficiale della relazione finale), il 5.31% della popolazione. Dai dati dei comuni, spulciati da Sirena, emerge che a Sovramonte, ad esempio, in una parrocchia di circa mille abitanti ci furono 150 morti di Spagnola. Feltre ebbe il tasso di mortalità più elevato in provincia, l’11,3%. Ma, sottolinea ancora il ricercatore, non è dato sapere per quali cause.

Una recente ricerca compiuta nei comuni della Sinistra Piave sui decessi tra il 1917 e il 1919 riporta questi numeri: nel 1917 (l’anno della fame) i morti furono 297, nel 1918 balzarono a 1.168, nel 1919 furono 311. Nel complesso della provincia di Belluno si può ipotizzare che i morti per Spagnola siano stati circa cinquemila.



Quando si cominciò a parlare della nuova e misteriosa malattia, a settembre del 1918, si era già in realtà alla seconda ondata. La prima era comparsa nella primavera del 1918, portata quasi certamente in Europa dalle truppe americane impegnate nella Prima guerra mondiale. La prima ondata si presentò in forma leggera e probabilmente, argomenta Sirena, senza causare danni nel Bellunese. Poi arrivò la seconda tragica ondata, quella che fece più vittime, nell’autunno di quell’anno. Una terza ondata, più blanda, arriva fino ai primi mesi del 1919 e ci fu probabilmente anche una quarta nel 1922.

Quando il dottor Majoni nel diario dell’anonimo cortinese parla di semplice influenza, è in buona compagnia: anche dal governo centrale si cerca di sminuire la portata e di smentire gli allarmismi “per non impressionare la popolazione”. Ma naturalmente le voci corrono, si parla addirittura di una guerra batteriologica scatenata dal nemico (vi fa venire in mente qualcosa?).

Ma come si combatte questo morbo? Il ministero, pur minimizzando, dà alcune indicazioni: ridurre i contatti, curare l’igiene, impedire le visite dei parenti negli ospedali, vietare gli assembramenti (soprattutto nei luoghi chiusi). Nulla di nuovo, a cento anni di distanza.



Nel numero di “Protagonisti” si trattano anche altri temi legati alla diffusione delle epidemie nel Bellunese. Diego Cason riflette sul passato e sul presente delle pandemie, dal punto di vista sociologico e antropologico. Francesco Piero Franchi pubblica un carteggio inedito sul vaiolo nella prima dominazione austriaca, mentre Gianmario Dal Molin si occupa dell’organizzazione sanitaria in provincia di Belluno nell’Ottocento. Nicola De Toffol affronta la minaccia del colera nel 1910 e Franca Cosmai scrive della profilassi e della cura della tubercolosi tra le due guerre. Di poliomielite e in particolare dell’istituto ortopedico elioterapico di Santa Fosca, si occupa la relazione di Adriana Lotto. Infine Mirco Rossi racconta le tante epidemie e pandemie che ci hanno accompagnato nei secoli con tutte le colpe che ricadono su di noi, abitanti di questa terra, maltrattata e consumata, anche nella diffusione dell’attuale virus che tanto dolore e angoscia sta provocando.

Le analogie con il presente sono molte, a partire dai rimedi applicati nelle prime pandemie di peste, (isolamento, protezioni individuali, sorveglianza dei confini). E poi la sottovalutazione dell’epidemia o la negazione, la ricerca degli “untori”, dal nemico bellico agli stessi medici (i complotti non sono invenzione moderna), per finire con le pozioni magiche o quasi di pseudo guaritori. Ma è il vaccino, alla fine, con la ricerca scientifica e una sanità migliore, a tenere sotto controllo la diffusione dei virus o a debellarli. —




 

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