“Sover” shock: «Si chiude. Anzi no»
BELLUNO. Si sentono «abbandonati dalle istituzioni e uccisi dalla burocrazia», tanto che ieri mattina avevano convocato i sindacati nella sede di Confindustria, per annunciare l’intenzione di chiudere lo stabilimento di Soverzene. È un grido di allarme forte e che rimbomba in tutta la vallata quello lanciato dalla famiglia Cannicci, titolare dell’azienda diventata, in 50 anni, uno dei simboli dell’eyewear in Italia e nel mondo. Un grido che poteva avere conseguenze pesanti per i lavoratori (55 quelli impiegati in Sover), ma che si è spento nel primo pomeriggio: «Sono intervenuti nuovi fattori che hanno suggerito di rimandare l’incontro con le rappresentanze sindacali», fa sapere l’azienda. Sover, quindi, per il momento non chiude (anche se già nella scorsa primavera aveva deciso di chiudere il settore produzione e di lasciare a Soverzene solo la parte commerciale), ma l’attenzione resta alta per una situazione che rimane assolutamente delicata.
«La burocrazia ci uccide». Paolo, Vittorio e Stefano Cannicci, rispettivamente presidente, vice e direttore generale di Sover, hanno deciso di rendere noto quello che è successo negli ultimi mesi, «perché rappresenta un chiaro esempio di come la burocrazia e la cecità di certi apparati dello Stato italiano possano determinare la vita o la morte di un’impresa, indipendentemente dalle sue potenzialità e dai suoi progetti», spiegano.
Negli ultimi anni Sover non è stata particolarmente intaccata dalla crisi che ha investito il comparto dell’occhialeria, ma «lo scorso inverno, a fronte di una crisi finanziaria, l’azienda ha preso la decisione di ricorrere agli strumenti previsti dal Ministero dell’Economia per le aziende in difficoltà: è stato l’inizio di un’agonia che non trova giustificazione».
Esclusi dal fondo per le imprese in difficoltà. Sover, in febbraio, aveva chiesto al Ministero di farsi garante, attraverso Invitalia (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, che agisce su mandato del Governo per il salvataggio e/o la ristrutturazione di medie e grandi imprese in difficoltà) di un prestito chiesto dalla proprietà. La risposta avrebbe dovuto arrivare entro 30 giorni, ma ci sono voluti 150 giorni per ottenerla. Ed è stata negativa: è arrivato «un fax privo di data e di motivazioni del diniego. Eppure le condizioni per accedere al fondo Sover le rispetta in pieno e non comprendiamo come si possa abbandonare un’azienda che è sì in difficoltà, ma che è già pronta con un piano di riorganizzazione e un aumento di capitale sociale che salverebbe il posto di lavoro dei dipendenti», dicono i Cannicci.
Il futuro è grigio. «Se lo avessimo saputo per tempo», continuano, «avremmo attivato altre strategie anziché dare fondo a tutte le nostre risorse per portare avanti l’azienda in attesa di un supporto. Ora ci vediamo costretti a rincorrere una ristrutturazione del nostro modello di business che ci consenta di essere comunque competitivi in un segmento non certo facile».
Lo scorso marzo Sover, decidendo di cessare l’attività produttiva, chiese la mobilità per 21 dei 55 dipendenti. Ora la situazione si è aggravata, e si fa sempre più delicata: «Il mondo politico si dichiara quotidianamente al lavoro per individuare nuovi provvedimenti per il rilancio dell’economia italiana», conclude la famiglia Cannicci. «Nel frattempo, gli strumenti disponibili vengono annullati da una burocrazia ottusa e colpevole».
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