Spesa gettata via dai migranti a Feltre: «Gesto grave, ma ingigantito»
FELTRE. “L'albero caduto fa sempre frastuono. Ma non è nemmeno facile far sentire i rumori di una foresta che cresce se la popolazione, o una parte di essa, rimane sorda”. Nemmeno per consorzi e cooperative è facile lavorare di buona lena per l'integrazione dei migranti, molti dei quali collaborano con il Comune per la gestione del verde pubblico e per iniziative di interesse comunitario, se poi un episodio scatenante, generato da singoli nuclei, determina la sconfitta di tanti tentativi.
È l'amara considerazione di Stefano Bellumat, uno dei responsabili provinciali per l'accoglienza dei rifugiati richiedenti asilo, che l'altro giorno è stato convocato dai residenti di via Po, quando le famiglie nigeriane hanno sdegnosamente rifiutato la spesa fatta per loro, rovesciando le sporte in segno di protesta.
«L'episodio è grave, ma non risponde al vero ciò che riferiscono i vicini di casa, e cioè che gli alimenti siano stati sparpagliati per la strada. Lo so, perché sono andato a vedere. Le borse sono state rovesciate nel cortile degli ospiti. E la spesa, dopo lo scatto di rabbia di uno di loro, è stata raccolta e portata dentro casa nelle confezioni integre. Noi, come gruppo che gestisce l'integrazione, abbiamo a che fare con culture diverse, alcune sono più ricettive e disponibili ad osservare le regole. Altre sono più refrattarie. E ci mettiamo tutte le forze e le risorse di cui disponiamo per garantire il benessere loro e una convivenza più serena con i vicini di casa. Ci sono luoghi però dove nemmeno il contesto aiuta. E come nel caso specifico di via Po, quello che possiamo riscontrare è un atteggiamento ostile a priori che non abbiamo registrato altrove».
La zona di Pasquer è stata fra le più esposte a inserimenti in case private di giovani africani che molto spesso non si sono segnalati per buona educazione. I sei giovanotti che risiedevano nella stessa casa dove l'altro giorno si è gettata a terra la spesa, erano chiassosi, disordinati e spreconi.
E sono stati trasferiti. Al posto loro hanno sistemato due coppie, di cui una con un bambino nato da poco, e una terza donna in stato di gravidanza. Ma portano usi e costumi, come quelli di stendere sulle reti di recinzione, maldigeriti dai nostri. E ci mancava solo che facessero i capricci con la spesa.
In via Po, sono stati inseriti anche altri giovani, di cui due afghani, che sono tranquilli. Questi sono in capo alla Dumia. «I fattori coinvolti nel processo di integrazione sono tre», spiega il presidente Dumia, Jacopo Polli.
«Il primo è la cooperativa, il secondo sono gli ospiti di culture diverse fra loro, il terzo è il contesto. Se il contesto è ostile i tentativi di integrazione non sono semplici, qualche volta nemmeno se i migranti mostrano di aderire alle nostre consuetudini. Mi rendo conto che ci sono etnìe più facili da gestire e altre meno. Ma considerato il dovere di accoglienza, rispetto al quale consorzi e cooperative sono solo strumenti operativi, l'appello che rivolgo è di non avere pregiudizi generalizzati».
A Santa Giustina sono stati di recente collocati sette migranti. Si è avvisata l'autorità locale e si sono seguite alla lettera le procedure. «I ragazzi sono tranquilli, per indole e per etica», dice Polli. «Se è per loro, dubito ci saranno problemi di convivenza».
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