Spopolamento nel Bellunese: i residenti se ne vanno e le imprese chiudono

Analisi drammatica della Cgia di Mestre: la provincia è destinata a sparire se non ci sarà un’azione incisiva per invertire la curva dello spopolamento

 



BELLUNO. Una provincia sempre più vecchia, dove nascono pochi bambini e che vede partire i suoi giovani verso territori che offrono una prospettiva. Per lavorare, per vivere, per costruirsi una famiglia. Una provincia che perde imprese, anche nel settore del turismo, e che ha legato (forse troppo) all’occhialeria la sua economia. I bellunesi sono ormai meno di 206 mila. In cinque anni la provincia ha perso il 2% degli abitanti. Fanno peggio di noi solo Enna, Medio Campidano, Messina e Nuoro. E fa riflettere guardare come invece a Bolzano e Trento il trend parli di crescita.

A chi sta già pensando: «Ma sono territori a statuto speciale», va detto che il confronto è impietoso anche con Sondrio e Verbano Cusio Ossola. Province montane, speciali, in difficoltà. Ma non tanto quanto il Bellunese, che sta vivendo «una fase di declino sociale (spopolamento) e di desertificazione imprenditoriale». È la fotografia, drammatica, scattata dal centro studi della Cgia di Mestre, su incarico della Provincia.

Uno stimolo, nelle intenzioni del presidente Padrin, per smettere di pensare al passato con quel misto di doglianza e rivendicazione, ai “se” e ai “ma”, e per guardare avanti. Per costruire una prospettiva di sviluppo. Altrimenti, senza un’azione incisiva e concreta, la provincia di Belluno è destinata a sparire.

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PRIMO CAPITOLO. POPOLAZIONE, IMPRESE E TURISMO

Nel 1981 la popolazione residente in provincia di Belluno superava le 220 mila unità. Dal 2009 è iniziata una curva discendente che ci ha portati nel 2017 a scendere sotto i 206 mila. Fra il 2012 e il 2017 il Bellunese ha perso l’1,9% della popolazione, Trento e Bolzano hanno invece vissuto un incremento di abitanti del 2,6 e del 3,9%. La popolazione è aumentata anche a Sondrio (+0,4%), è scesa ma leggermente (-0,3%) a Verbano Cusio Ossola.
 



Inoltre gli under 15 nel Bellunese sono appena il 12% della popolazione complessiva (a Bolzano sono quasi il 16%), mentre gli anziani, ovvero gli ultrasessantacinquenni, sono il 25,8%, tre punti percentuali più di Sondrio (a Bolzano sono appena il 19,3% dei residenti).

Un dato preoccupante è quello sulla natalità: nel 2017 nel Bellunese sono nati 1334 bambini, ma sono morte 2476 persone. Gli stranieri sono pochi (il 5,9% della popolazione): segno che la provincia ha perso attrattività.
 



Lo spopolamento interessa soprattutto i comuni di alta montagna, che negli ultimi cinque anni hanno perso il 4,6% dei residenti. In cinque comuni il calo supera il 10%. Bolzano, invece, ha guadagnato il 2,7%.
 



Dalla fine del 2009 alla fine del 2017 hanno chiuso 890 imprese. Quelle artigiane sono diminuite del 10% rispetto ai livelli pre-crisi. Belluno, scrive la Cgia, «sta vivendo una fase di desertificazione imprenditoriale».

Ci sono appena sette imprese attive ogni cento abitanti. Numeri lontanissimi dalle realtà delle Province a statuto speciale, ma anche dalle altre province montane. Alle imprese vengono anche concessi pochi crediti dalle banche, nonostante il tasso di restituzione del prestito risulti buono.

Il settore dovrebbe trainare l’economia, il turismo, è invece in difficoltà: in otto anni hanno chiuso molti alberghi e ristoranti (in tutte le altre zone esaminate le imprese sono aumentate, a Sondrio dell’8,8%) e sono diminuite le presenze turistiche, cioè i villeggianti che dormono nelle strutture ricettive della provincia.

Il raffronto fra il 2016 e il 2008 racconta di un calo del 12,5%. Nello stesso periodo a Trento e Bolzano le presenze sono aumentate del 13%, a Verbania dell’11,8%, a Sondrio dell’1,9%. Poco, ma sempre un aumento. Un numero, per chiudere. Le presenze dei turisti nel 2016. Bolzano: 31,3 milioni. Trento: 16,9 milioni. Belluno: 3,9 milioni.
 



Per quanto riguarda il lavoro, in dieci anni la provincia di Belluno ha subito una flessione di quasi 3600 occupati. A Bolzano fra il 2007 e il 2017 gli occupati sono saliti dell’11,1%, a Trento del 6,6% (complessivamente le due province contano 40 mila occupati in più nel decennio).

È vero che i numeri, nudi e crudi, dicono che il tasso di occupazione è salito anche nel Bellunese, ma solo perché la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) è scesa più che proporzionalmente dell’occupazione. Rispetto al 2007, inoltre, sono raddoppiati i disoccupati: dai 2.100 del 2007 si è passati agli oltre 4.800 del 2017 (+130%). È l’aumento più elevato di tutti gli altri territori montani esaminati dalla Cgia. A salvare, almeno per il momento, il Bellunese è l’occhialeria, e soprattutto l’export. Ma questo settore, conclude la Cgia, da solo «non basta per garantire un futuro al territorio».

SECONDO CAPITOLO. COSTI E DISAGI DEL VIVERE IN MONTAGNA


Una parte dello studio della Cgia di Mestre analizza i costi del vivere in montagna, mettendo al centro la famiglia e i disagi che deve sopportare.

Nell’anno scolastico 2016-2017 erano 22.463 gli studenti bellunesi, distribuiti in 284 scuole fra elementari, medie, superiori e asili. Gli asili e le elementari sono ben dislocati sul territorio (c’è più o meno un plesso in ciascun comune e viene così assicurato il servizio alle famiglie), le scuole medie sono abbastanza diffuse mentre gli istituti superiori sono concentrati in pochi comuni. E solo a Belluno, Feltre e Cortina ci sono sia i licei che gli istituti tecnici e professionali. Anche in pianura non c’è una scuola superiore in ogni comune, ma le distanze da percorrere per gli studenti per arrivare in classe sono decisamente inferiori.

Nel Bellunese inoltre manca un’università che, oltre ad offrire prospettive ai giovani, funge da volano di sviluppo e crescita per il territorio in cui è inserita. La Cgia suggerisce di esplorare tutte le strade percorribili, come l’apertura di sedi staccate di atenei esistenti.

I negozi nel Bellunese sono poco più di 2.300, uno ogni 1,6 km quadrati (la media italiana è uno ogni 0,4 km quadrati). Le farmacie sono 80, una ogni 46 km quadrati. Significa che si rischia di dover fare parecchia strada se si ha bisogno di un farmaco. Soprattutto se si abita in montagna. In dieci anni, poi, sono stati chiusi 46 sportelli bancari, rendendo più complicato per i bellunesi che abitano nelle terre alte anche fare un bonifico o un prelievo.

Le reti autostradale e ferroviaria nel Bellunese «sembrano incompiute», scrive la Cgia. La prima si ferma a Calalzo, la seconda a Ponte nelle Alpi, mentre il Trentino è attraversato sia dai binari che da un’autostrada che porta nel cuore dell’Europa.

Il rapporto evidenzia anche che nel Bellunese costa di più raccogliere e smaltire i rifiuti: il costo medio per liberarsi di una tonnellata di immondizie in provincia è pari a 358,58 euro, 64 euro in più rispetto alla media nazionale.
 



TERZO CAPITOLO. TRASFERIMENTI STATALI TAGLIATI DI UN TERZO

Le manovre statali hanno affogato le Province. Lo certifica lo studio della Cgia di Mestre, che ha anche analizzato il bilancio di Palazzo Piloni dal 2011 al 2017. E se a Roma è stata usata l’accetta, la Regione ha invece aumentato i trasferimenti, garantendo ossigeno alla Provincia nel momento più difficile della sua storia.

Le Province, infatti, sono state chiamate insieme ai Comuni a risanare i conti dello Stato, con due strumenti: il taglio ai trasferimenti e il versamento allo Stato di una quota delle risorse proprie dell’ente. Due fattori che hanno creato (le parole sono della Corte dei Conti), «una condizione di incertezza» e «un grave deterioramento delle condizioni di equilibrio strutturale dei bilanci».

A causa del decreto legge 78/2010 (governo Berlusconi), del “Salva Italia” del 2011, della Spending review del 2012 (Monti) e delle manovre del governo Renzi nel 2014 e 2015, la Provincia di Belluno ha subito tagli ai trasferimenti pari a 25,9 milioni di euro. Dato che corrisponde al 34% delle entrate correnti disponibili prima dell’avvento dei tagli.
 



Siamo stati la provincia più penalizzata dai tagli, dopo Isernia: le manovre sono quantificabili in 126 euro in meno per ciascun bellunese. Anche i Comuni sono stati chiamati ad aiutare lo Stato a risanare i suoi conti, per 27,5 milioni di euro. Sommando i contributi richiesti agli enti locali si arriva a 53,5 milioni di euro, come dire -260 euro per ciascun bellunese. A Sondrio il taglio è stato di 211 euro per abitante, a Verbano Cusio Ossola di 206. Fra il 2012 e il 2015 i trasferimenti dallo Stato sono diminuiti del 27%, quelli regionali sono aumentati del 22%. Nel triennio 2016-2018 si registra un’erosione ai trasferimenti del 5%, sia a livello statale che regionale.

Valfredda in uno scatto di Igor Mattia
Valfredda in uno scatto di Igor Mattia



Però nel 2017 a Palazzo Piloni sono stati assegnati 5 milioni da Anas per la sicurezza della rete stradale e 11,7 milioni per finanziare le funzioni fondamentali, la manutenzione straordinaria delle strade, la viabilità e l’edilizia scolastica. Per quanto riguarda le spese della Provincia, il contributo al risanamento delle finanze statali ha pesato in maniera molto grave su Palazzo Piloni: nel 2017 sono stati chiesti alla Provincia 23 milioni di euro da girare allo Stato. Un terzo della parte corrente del bilancio.

Nel quadro di riduzione delle risorse, è cambiata anche la mappa delle spese: nel 2018, rispetto al 2012, è aumentato il peso dei trasporti e istruzione, mentre la spesa per la viabilità è passata dal 32 al 20% del bilancio. Considerando infine i principali tributi statali (Irpef, Iva, Ires), la Provincia di Belluno versa ogni anno a Roma un miliardo e duecento milioni di euro. Alla Regione (per Irap, addizionale Irpef e tassa automobilistica) 180 milioni all’anno. 

QUARTO CAPITOLO. LE SOLUZIONI: L'AUTONOMIA NON BASTA

Per garantire la gestione dei servizi e, soprattutto, quel cambio di rotta che darebbe una prospettiva di sviluppo del territorio, la Provincia di Belluno avrebbe bisogno di 30 milioni di euro in più. Sono chiare, anche se fanno gelare il sangue nelle vene, le conclusioni dello studio della Cgia di Mestre. «Le preoccupazioni che avevamo sono state confermate», ha commentato il presidente della Provincia Roberto Padrin.

«Ora dobbiamo decidere quale strada percorrere» continua il presidente della Provincia, «la partita è complessa e va giocata sia al tavolo regionale che statale. È il momento di fare scelte coraggiose per dare un futuro alla nostra provincia. Abbiamo finalmente la fotografia della situazione, i dati sono drammatici ma innegabili. Lavoriamo tutti assieme, facciamo squadra con tutti gli enti che operano sul territorio e guardiamo avanti, facendo proposte concrete per dare una prospettiva al Bellunese».

Il segretario della Cgia, Renato Mason, una via l’ha indicata: allearsi con altri territori di montagna, perché non esiste un problema Belluno. O meglio, esiste, ma al tavolo delle trattative è difficile farlo valere. Esiste, invece, e va assolutamente considerato, un «problema montagna», come l’ha definito Mason. «Ma in pianura non sono consapevoli di questa situazione», ha avvertito. «Spetta a voi far passare il messaggio corretto. E non pensiate di andare al tavolo delle trattative rivendicando risorse. Così sarete perdenti. A quel tavolo dovete esserci, ma spiegando che il problema montagna riguarda tutti e che nell’ambito della programmazione economica vanno stanziate risorse per la montagna. Alleatevi con altri territori». Parole secche, dritte al cuore della questione, com’è nello stile di Mason. 

E l’autonomia? Per il centro studi mestrino non è affatto la panacea di tutti i mali. Anzi. È scritto nell’introduzione del rapporto: «L’autonomia rappresenta certamente un percorso necessario per risollevare il Bellunese, ma non è sufficiente a cambiarne le sorti. Serve un cambio di paradigma, una prospettiva diversa e orientata alla creazione di condizioni per favorire lo sviluppo ed evitare lo spopolamento, unitamente a nuove risorse». Eccolo, il nodo. I soldi. Quei 51 milioni di cui la Provincia avrebbe bisogno. 

Speciale a cura di Alessia Forzin e Valentina Voi

 

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