Stracadon è fermo dal 1963: viaggio nel borgo fantasma

Si è tenuta un’escursione in Alpago  con Italia Nostra alla scoperta del paese abbandonato. Un tempo fervevano le attività legate al vecchio mulino e crescevano i frutteti



Con Italia Nostra alla scoperta dell’antico borgo di Stracadon, nel cuore dell’Alpago. Un’escursione alla ricerca della bellezza e del tempo perduto tra i paesi alti della conca prealpina, visitando i luoghi della grande frana del Tessina, malghe panoramiche inerpicate tra prati e rocce, chiese come piccoli scrigni e ciò che resta di un villaggio un tempo rigoglioso di frutteti e di attività legate al vecchio mulino.

Un allegro borgo di montagna di cui oggi non restano quasi che ruderi e un’atmosfera degna di un racconto di Edgar Allan Poe. Quasi, perché qualcuno, anni fa, ha pur provato a restaurare una delle case tipiche di questo luogo, alte magioni fatte di pietra, esempi di un’architettura particolare. Ma davanti all’assalto della vegetazione che ha invaso la radura e l’ombra fitta di alberi che oscurano la luce del sole, la voglia di ridare vita almeno a un’abitazione delle vacanze, è venuta meno.

Oltre mezzo secolo fa vi abitavano ancora cinque famiglie in sei o sette case di pietra, «36 anime in tutto», ha ricordato Carlo De Battista, nato proprio a Stracadon e sindaco di Chies d’Alpago dal 1975 al 1990. È stato lui la settimana scorsa a guidare lungo il sentiero che conduce al sito la comitiva e la presidente di Italia Nostra, Giovanna Ceiner. Una visita proposta nell’ambito delle iniziative dedicate dall’associazione culturale al patrimonio storico, culturale e paesaggistico della provincia.

«Gli ultimi ad andare via siamo stati noi nel 1963, ma il mulino, che macinava il grano e il frumento di tutto l’Alpago, era stato chiuso già nel 1951», ha raccontato De Battista. «Ricordo che l’acqua del Funesia era così abbondante e pura che per berla la raccoglievamo direttamente dal torrente».

Oggi a depauperare l’acqua, non più così pura, c’è un’imponente centralina idroelettrica in cemento, molto utile per sostenere il bilancio di un piccolo e orgoglioso Comune di montagna che vuole continuare a vivere, ma che al tempo stesso rappresenta il grigio epitaffio di quello che rimane del borgo, di quella sorta di oasi soleggiata dove tra vigne, ciliegi, peschi e meli crescevano anche i meloni e le angurie. Un miracolo possibile in virtù di un microclima particolarmente mite, una caratteristica comune ad altri luoghi dell’Alpago, come Codenzano, dove recentemente ha ripreso vigore la coltivazione delle vigne con risultati lusinghieri.

Stracadon, d’altra parte, figurava tra i sei villaggi protagonisti dell’omonima mostra sui luoghi abbandonati della montagna veneta, ospitata lo scorso anno a Belluno nell’ambito della manifestazione “Oltre le vette”. Un viaggio documentario e fotografico, proposto dal Cai di Mestre con il patrocino della sezione bellunese di Italia Nostra, composto da quasi cento immagini raffiguranti una montagna un tempo abitata e ricca di vita e oggi vuota e silenziosa, sull’orlo di scomparire, divorata dalla vegetazione, dai crolli, dalla chiusura dei sentieri e delle poche vie di comunicazione che la attraversavano.

E se è vero, come scrive l’architetto statunitense di origini estoni Louis Kahn (1901-1974), che «nella rovina è percepibile la meraviglia del suo inizio», questi luoghi suscitano ancora un fascino, percorsi da un alito di vita sottile e misterioso, testimoni di un patto tra uomo e natura oggi quasi ovunque tradito. Perché, esclusi alcuni centri urbani, simili a città, tutta la montagna bellunese è composta da piccole frazioni e località in via di spopolamento. E con il loro abbandono, la costruzione delle stazioni sciistiche e la morte dei vecchi, svaniscono anche i toponimi, i nomi d’uso e dialettali dei luoghi, ingredienti sostanziali della cultura e delle tradizioni di montagna, di cui oggi rimangono soltanto frammenti.

Atmosfere gotiche comunque ispiratrici, di cui la compagnia teatrale Sequeris qualche anno fa ha approfittato per mettere in scena proprio a Stracadon “La leggenda del Monte Teverone”, un furibondo battibecco fra streghe e anguane, moderato dalle temperanze di un alchimista e accompagnato dal suono delle cornamuse, uno spettacolo che ha fatto divertire un’intera scolaresca assiepata su quella che una volta era la piazza del villaggio.

La giornata di Italia Nostra, una rara domenica senza pioggia, ha contemplato anche la visita ai caratteristici murales di Lamosano ed è proseguita poi a Funes, dove il naturalista Anacleto Boranga ha descritto le caratteristiche della frana del Tessina, la più estesa di Europa. Tappa successiva: Irrighe, per una visita all’antico santuario della Beata Vergine della Salute, quindi il gruppo ha raggiunto Malga Cate per poi concludere l’escursione nella caratteristica località di Caotes. —

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