Svasamento del lago, incubo fango per i pescatori del Piave

Lungo il fiume sacro alla patria sono tornati i pesci: un segnale positivo che fa a pugni con la necessità di ripulire l’invaso

PIEVE DI CADORE. Sono 6.500 i pescatori della provincia di Belluno. Lanceranno le prime lenze dell'anno la prima domenica di marzo.

Con grande fiducia, perché lungo il Piave sono ritornati pesci che apparentemente erano scomparsi, come i granchi.

Ma anche con una grande paura: lo svasamento delle dighe. Ossia lo sfangamento.

«Che cosa succederà al nostro Piave», si chiede Luigi Pizzico, del bacino di pesca numero 8, «se verrà svuotato il lago di Centro Cadore per liberarlo da 150 milioni di metri cubi di fango e detriti? E se questa operazione continuerà per una decina d'anni? Lungo la Piave, fino alla laguna, non potremo più andare a pescare. Ci s'immagini soltanto cosa contengono quei fanghi dei rilasci delle occhialerie, accumulati in decenni di attività».

I 12 bacini di pesca in cui è suddivisa la provincia di Belluno vorrebbero qualche rassicurazione nel merito, e cioè che sono soltanto voci quelle che stanno ascoltando.

«Ci mancherebbe anche questa», sospira Lucia Ruffato, del Wwf Terre del Piave di Belluno e Treviso, «le dighe vanno ripulite, ci mancherebbe altro, soprattutto per motivi di sicurezza», ammette, «ma, in caso di svasamento, dovrebbero essere applicati rigorosi protocolli anti inquinamento. E' saggio, però, restare all'erta».

Questo è solo l'ultimo allarme per il fiume che attraversa la provincia di Belluno. Più incombente ancora è quello delle derivazioni idroelettriche. A cominciare da Sappada, a pochi chilometri dalla sorgente ai piedi del Peralba.

«A parte i grandi impianti, le centraline preesistenti all'ultima fase di artificializzazione erano 87. Se ne sono aggiunte 138 di nuove e sia i privati e sia i Comuni hanno presentato 150 domande di nuovi impianti», riferisce ancora la Ruffato, che si dice stordita di numeri di una simile portata. Il Piave, dunque, è destinato a scomparire, secondo la sua analisi, come di fatto non esiste più nella parte bassa, quella trevigiana e veneziana.

«E' rimasto senz'acqua», ha denunciato, dati alla mano, Fausto Pozzobon di Maserada, nell'incontro stampa di Legambiente dei giorni scorsi, a Treviso, dove ha portato la propria testimonianza anche Ruffato.

«Se, come dicono, alcune centraline (ma non tutte, ndr) sono indispensabili», aggiunge ritornando alla realtà di Belluno, «dovrebbero quanto meno mitigarle, ridurre l'impatto ambientale che comportano. Lungo il Piave, ma non solo, ci sono scarpate da rinaturalizzare. E ci sono anche scarichi da depurare».

Ruffato abita in Val Zoldana. Ha un elenco lungo così di misfatti compiuti lungo il Maè, un affluente, dove, peraltro, si vorrebbero piazzare una dozzina di centraline. Pizzico, ieri, nell'ambito del suo bacino ha provveduto insieme ai collaboratori a travasare 800 pesci, tra quelli “seminati” un anno fa, per dare nuove opportunità ai pescatori. Nel bacino 8 sono in 400 ed alcuni di loro arrivano chi da Roma e dal Centro Italia, chi dalla Svizzera, inseguendo soprattutto la trota marmorata.

«Prima dell'industrializzazione, a cominciare dal Cadore, il Piave era un fiume davvero naturale, con ottimo pesce, un luogo dove si veniva con piacere a pescare. Poi», racconta Pizzico, «è subentrata una crisi che ogni anno di più ha allontanato gli appassionati da questo corso d'acqua, nel Bellunese come pure nel Trevigiano. Dobbiamo ammettere che, in tempi più recenti, grazie alla maggiore prevenzione delle industrie e dei Comuni, stiamo monitorando un ritorno... al futuro. Ovvero? Ecco il gradito ritorno dei gamberi, ad esempio. Li hanno trovati perfino lungo il canale Cellina, da Soverzene al lago di Santa Croce. Oppure i temoli. Questi ed altri pesci testimoniano che l'acqua del nostro fiume si è finalmente naturalizzata», sottolinea ancora Pizzico.

Ecco perché il mondo della pesca, non solo bellunese ma anche italiano, teme gli interventi nei grandi bacini, o meglio quelli non puntualmente regolamentati.

"Non solo la naturalità delle acque, ma anche l'artificializzazione del Piave rappresenta per noi un gravissimo problema. Le continue derivazioni idroelettriche costituiscono un comprensibile impedimento ai pesci lungo chilometri di tratti di fiume che un tempo erano pescosissimi».

In effetti, per fare un esempio, le trote in Comelico, lungo il Piave, non rappresentano più una risorsa, ma una rarità.

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