Terme di Valgrande, il degrado avanza
COMELICO SUPERIORE. Uno spreco milionario, pagato dai contribuenti veneti. Da due anni sono chiuse le Terme Dolomiti di Valgrande (dall’anno scorso il bar), costate 11 milioni di euro. Le aveva volute, alla fine degli anni ’90, l’allora assessore regionale al turismo Floriano Pra, per rilanciare il Comelico. Nel giugno 2003 erano state inaugurate dal governatore Giancarlo Galan. La Regione, per ovvi motivi, non aveva inteso gestirle in proprio. Se n’era fatto carico il territorio, attraverso una società costituita allo scopo. Da allora le vicissitudini non sono mai mancate, fino alla chiusura nel 2012, quando i debiti accumulati dalla società “Valgrande Srl”, tra i quali anche 184 mila euro di mancati affitti al Comune, costrinsero i gestori alla liquidazione. Per l’amministrazione comunale dell’epoca, la situazione era diventata insostenibile: gli affitti arretrati avevano indotto il Comune ad aumentare dello 0,05% l’Imu (Imposta municipale unica) sulle seconde case: da 0,76% a 0,81%.
A due anni dalla chiusura, lo spettacolo è di un contrasto unico: di una bellezza struggente la valle, molto amata anche da San Giovanni Paolo II, angosciante l’immagine dello stabilimento termale, abbandonato a se stesso, e che nei prossimo giorni verrà recintato perché potrebbe costituire motivo di pericolo per il visitatore.
Nella recente campagna elettorale era stata ventilata la possibile riapertura, prevedendo che si sarebbe affacciato qualche investitore: «Niente di tutto questo è fino ad oggi accaduto», puntualizza il sindaco Marco Staunovo Polacco. «Ho ricevuto una telefonata, dal titolare del caravan Park di Sesto per programmare un incontro. Ci dobbiamo vedere. Lui ha delle proprietà in valle, so che è innamorato di questo territorio. Mi risulta che a suo tempo era interessato a promuovere un camping sul modello di quello di Sesto, particolarmente apprezzato. Ma di più non ho nulla da anticipare».
Il sindaco, tuttavia, conferma che non ha alcuna intenzionedi cercare una soluzione provvisoria pur di aprire: «Quell’impianto resterà chiuso fino a che non individueremo un intervento radicale, di serio rilancio in prospettiva».
Secondo alcuni studi, ci vorrebbero almeno 2 milioni di euro soltanto per riprendere l’attività, ma Staunovo Polacco preferisce non ipotizzare alcuna cifra, perché, in verità, lo stabile sarebbe da abbattere e da ricostruire. E, in ogni caso, per sopravvivere ha bisogno di una struttura ricettiva d’appoggio, quanto meno un albergo. Quell’albergo che rientrava nelle intenzioni degli stessi amministratori regionali, ma non in quelli degli operatori turistici di Padola. «È evidente che una struttura di questo tipo è indispensabile, come è irrinunciabile riavere la concessione dell’acqua termale, che la Regione aveva passato a suo tempo al Comune, ma che l’amministrazione dell’epoca aveva ceduto alla società di gestione. E che, al suo fallimento, è stata ripresa dalla Regione».
Staunovo Polacco, in conclusione, non vuol ripetere errori del passato e, quindi, sarà molto prudente nell’affrontare di nuovo il problema. «Piuttosto le Terme continueranno a rimanere chiuse», sospira, amareggiato.
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