“Terre dei Gaia”, vigneti doc ed erbe officinali sul Grappa

Claudio Polesana e la moglie Debora Zanella si dividono tra i campi e il negozio. Hanno creato anche una linea di cosmetici recuperando e lavorando scarti di viti

FELTRE


Le “Terre dei Gaia” sono sparse un po’ in tutto il Feltrino, per l’esattezza su 24 appezzamenti con vigneti, per tre ettari e mezzo, che vanno da Arson di Feltre a Rocca di Arsié, più una “majolera” a 1250 metri sul monte Grappa dove crescono le erbe officinali.

Per chi ci vive vicino è un bel conforto sapere che si tratta di terreni coltivati da sempre con metodi biologici e trattamenti biodinamici; ma per Claudio Polesana, 38 anni di Feltre, è diventato un bell’impegno, soprattutto in questo periodo di trattamenti a base di rame e zolfo che lo costringono a passare le giornate sul trattore per cercare di arrivare in tempo, prima che il maltempo ritorni.

«Fortuna che c’è mia moglie che lavora al negozio e che abbiamo potuto affidarci a due collaboratori», spiega riferendosi a Debora Zanella, socia dell’azienda agricola, «altrimenti sarebbe stato difficile stare dietro a tutto».

Anche voi avete un passato lontano dalla terra.

«Debora lavorava in farmacia mentre io, dopo essermi diplomato come perito informatico, ho lavorato per 16 anni nell’azienda di famiglia, impegnata nel commercio all’ingrosso di materiale elettrico. Sentivo un legame con la terra fin da piccolo, forse anche per via dei racconti del mio bisnonno “Nani Gaia” che aveva un appezzamento di terra a Mugnai dove coltivava le viti. Volevo trovare il mio ruolo nella protezione dell’ambiente e nelle conservazione dei luoghi: da lì la scelta di diventare agricoltore biodinamico, assieme a Debby».

Il vostro core business è indubbiamente quello della viticoltura.

«Siamo partiti nel 2014 con l’idea di sperimentare diversi percorsi. Ci siamo specializzati in viticoltura, cosmetica e apicoltura, abbandonando temporaneamente la pastorizia perché poco redditizia. Oggi siamo arrivati ad avere sette etichette e a produrre oltre 20 mila bottiglie. Coltiviamo ancora le specie autoctone Bianchetta, Pavana e Pajalonga, specie rara a uvaggio rosso, assieme a Trevisana e Portoghese. Da poco abbiamo piantato anche due vini internazionali che mi piacciono e su cui volevo sperimentarmi, lo Chardonnay e il Blauburgunder Pinot Nero dell’Alto-Adige».

Da qualche mese avete aperto anche il vostro negozio.

«Si trova in via Cavalieri di Vittorio Veneto 9 e adiacente c’è anche la cantina. Non riusciremo a fare questa vinificazione in sede, ma l’ottava ci permetterà finalmente di chiudere il cerchio. Al momento mi affido a una cantina che affitto con un enologo di riferimento. Nel 2015 abbiamo vinto con “Nani” il premio come miglior spumante bellunese al concorso enologico di Vini di Fonzaso e nel 2017 per è stato premiato anche il “Cilet”, una Bianchetta ferma. Siamo rimasti un po’ fermi perché è un ambito dove investire tempo e risorse, così a un certo punto abbiamo preferito concentrarci sullo sviluppo dei nostri vigneti».

A questo siete riusciti a collegare anche la vostra linea di cosmetici.

«Stiamo lavorando bene recuperando parti della vite, come il “pianto” raccolto in primavera dalla potatura, o la separazione di vinacce e vinaccioli, cui abbiniamo malva, menta, calendula, arnica e da un paio di anni anche il miele. L’unione di tutti questi prodotti ci ha permesso di mettere in piedi una linea priva di petrolati e altri additivi chimici. Facciamo una produzione di singoli lotti, un centinaio alla volta, questo perché è un settore piccolo e vogliamo curarlo con attenzione».

Dall’anno scorso avete anche ottenuto la certificazione biologica.

«Sì, una bella soddisfazione anche se di fatto lo siamo da sempre. La burocrazia ci ha impedito di uscire con il logo su tutti i prodotti, ad esempio sul miele che è un prodotto richiestissimo, tanto che riesco a venderlo prima ancora di raccoglierlo e invasarlo, ma quest’anno dovremo farcela. Stiamo gradualmente aggiornando le nostre etichette e la vendemmia di quest’anno ci permetterà di imbottigliare i nostri primi due vini bio. Ci vogliono in media tre anni di conversione, anche quando la situazione di partenza è ottimale. Non è una certificazione che abbiamo voluto ottenere a livello commerciale».

Come ha inciso l’emergenza Coronavirus nel vostro settore?

«Indubbiamente sulle vendite, visto che lavoriamo principalmente con Horeca, ovvero con tutto il comparto di hotel, ristoranti e caffè, quindi le nostre vendite hanno subito una bella battuta di arresto. Ma il nostro negozio ha riaperto regolarmente: dal mercoledì al sabato, dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 16.30 alle 19.30». —

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