Terremoto, i soccorritori bellunesi tra chi non vuole lasciare la propria casa
BELLUNO. Trovare le parole giuste per spiegare che le ragioni di sicurezza devono prevalere su quelle del cuore. E dall’altra parte trovarsi davanti delle persone che lassù sono cresciute, hanno tutti i loro affetti, hanno la loro vita. Questo il lavoro a cui sono stati chiamati ieri i volontari del Soccorso alpino del Veneto, tra cui una quindicina di bellunesi.
«Questa mattina (ieri, ndr), siamo stati imbarcati dall’elicottero del Corpo Forestale dello Stato e siamo stati portati nelle frazioni e nelle case sparse sulla montagna per capire se lassù ci fossero ancora persone. Si cerca di far evacuare tutti», spiega Franco Casanova, vice capo del Soccorso alpino della stazione di Feltre, in una pausa pomeridiana in attesa dell’arrivo dell’elicottero per spostarsi in un’altra frazione rasa al suolo. Casanova, che ha già esperienza di post terremoto in quanto ha operato come volontario a L’Aquila, ha trascorso la mattinata a Cornelle, mille metri sul mare, a dodici chilometri da Amatrice.
«Le squadre hanno effettuato una ricognizione a piedi per andare a trovare tutte le persone che ancora vivono là», racconta Casanova. Ad ogni incontro, una storia e uno spaccato di vita che si apre, con un denominatore comune: «Non voglio andarmene».
Ed è così che tra le case sparse i soccorritori bellunesi hanno trovato un contadino quarantenne: la sua casa è ancora in piedi ma lesionata e dunque anche solo entrarci rappresenta un rischio altissimo. Ma l’uomo, di andarsene non ci pensa proprio. Lassù ci sono le sue mucche, trenta capi in tutto. Lasciare la casa e gli animali significa condannarli.
«Abbiamo poi incontrato un uomo che ha venti cavalli. Da mercoledì dorme in furgone. E ancora una donna di cinquant’anni. Ci ha raccontato che non se la sente di abbandonare la sua casa perché non sa dove andare, non ha parenti», prosegue Casanova. Come comportarsi con questi “irriducibili”? «Anzitutto abbiamo verificato che avessero generi di prima necessità a sufficienza, soprattutto pane e acqua. Poi li abbiamo informati dell’ordinanza di sgombero, ricevendo i loro “no” fermi e decisi. A quel punto abbiamo informato il centro di coordinamento della necessità di far arrivare delle tende per queste persone. Almeno così non entrano più nelle loro case».
Una giornata, quella di ieri, iniziata alle 6.28 con una scossa fortissima, di magnitudo 4.8, con epicentro ancora Amatrice. «Eravamo al campo base ad Amatrice, stavamo ammassando gli zaini, pronti per partire», racconta Casanova, «Poi è arrivata la scossa. Impressionante. Davanti a me avevo alcuni camion con le ruspe caricate sopra. Vedere oscillare le macchine operatrici che pesano diverse tonnellate è stato impressionante». La scossa di ieri all’alba ha ulteriormente peggiorato la percorribilità delle strade. «Sono quasi tutte bloccate, alcune distrutte», prosegue il volontario feltrino, «Già ieri (giovedì, ndr) quando siamo arrivati, ci sono volute ore per entrare in paese. Le strade di accesso sono massacrate, bisogna passare attraverso le macerie con un senso unico alternato». Basta uno sguardo per vedere la desolazione. Eppure la voglia di mettersi al servizio non viene scalfita. «Sono partito con la voglia di fare tutto quanto è possibile», conclude Casanova, «Una volta arrivato mi sono reso davvero conto di quanto grande è ciò che è successo e delle difficoltà ad intervenire, anche a livello di gestione della macchina organizzativa. Ma niente mi ferma, ci ferma. E si impara a gioire delle piccole cose, come la doccia al campo base dopo una giornata tra le macerie».
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