Terremoto in Agordino, a Voltago liberata energia 20 volte inferiore ad Ischia

Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica mette in guardia: «Forti scosse possono coinvolgere tutto il Bellunese, come è già accaduto»
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BELLUNO. «Scosse deboli, soprattutto se sono profonde 9 chilometri». Definisce così il terremoto di mercoledì il geologo e presidente dell’Istituto nazionale di geofisica, il feltrino Carlo Doglioni. Tra una riunione e l’altra riesce a trovare il tempo per commentare il fenomeno agordino, le tre scosse (agli agordini in verità sono sembrate piuttosto forti) che si sono succedute dalle 14.22 alle 14.30 di mercoledì.


«Ogni anno in Italia ci sono tra i 12mila e i 15mila terremoti sotto i tre gradi della scala Richter. E le scosse attorno ad Agordo non sono poi così poco frequenti: negli ultimi dodici anni ci sono stati undici eventi rilevati dalla rete dei sismografi. Sopra i tre gradi della scala Richter ci sono centinaia di scosse ogni anno».


Ci sono stati dei paragoni con il terremoto di Ischia, soprattutto sul fronte degli effetti, qui inesistenti, lì catastrofici.


«Non si possono fare confronti tra i due eventi, per una serie di questioni. Prima di tutto il grado: a Voltago 3.4, a Ischia 4. La differenza è enorme: a Ischia è stata liberata una energia venti volte superiore a quello che è accaduto a Voltago. Poi la profondità dell’epicentro: a Voltago nove chilometri, a Ischia due chilometri. Facciamo un semplice esempio, una bomba a mano: se scoppia a tre metri o a trenta metri, gli effetti sono molto diversi. E infine il tipo di terreno. Le onde sismiche vengono amplificate dal tipo di terreno. Se passano attraverso la roccia corrono veloci e fanno meno danni. Se passano in terreni meno consolidati, le onde vanno più piano e gli effetti si amplificano».


La zona dell’Agordino è considerata meno rischiosa (zona tre) rispetto al Bellunese e alla fascia pedemontana, dall’Alpago al Feltrino (zona due).


«Questa è una cattiva percezione delle cose. Ci sono stati forti terremoti nel passato in Alpago che hanno avuto effetti tragici a Belluno e non solo. Nel 1873 ci fu un terremoto di magnitudo 6.3. Anche nel 1936 ci sono state scosse di 6.2 e 6.1. La divisione per zone trae in inganno, semplicemente significa che è ipoteticamente più raro che ci siano forti terremoti nella zona tre, ma è solo una ipotesi. Dovremmo essere invece consapevoli che i forti terremoti possono verificarsi e gli effetti arrivare ovunque. D’altra parte noi siamo all’interno del sistema alpino, si tratta di montagne vive, che si muovono».


Di quanto si muovono le due placche, quella adriatica e quella europea?


«Un paio di millimetri all’anno, venti centimetri al secolo. La zona pedemontana di confine tra Belluno e Treviso è sicuramente quella maggiormente sismica, dove ci possiamo attendere scosse più forti. Ma tutta la zona può essere interessata. Non sappiamo quando accadrà, ma di sicuro accadrà, ce lo insegna la storia».


Ci sono più terremoti del solito in questi ultimi anni?


«Direi proprio di no, non ci sono più terremoti del solito, semplicemente c’è una informazione maggiore e la rete di rilevazione è molto diffusa».


Cosa dovrebbero rappresentare in termini di prevenzione e di consapevolezza questi fenomeni anche nel nostro territorio?


«Dovrebbero rappresentare prima di tutto dei campanelli di allarme per ricordarci che forti scosse sono assolutamente possibili. Non possiamo ancora dire quando e dove succederà, ma studiamo proprio per migliorare queste conoscenze».


Si arriverà a prevederli?


«Perchè no? La scienza progredisce ogni giorno».


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