Tito, l’onorificenza resta «perchè non è più in vita»

CALALZO. «Contento non posso certamente esserlo; però un mezzo risultato siamo riusciti a portarlo a casa». Così Luca De Carlo, sindaco di Calalzo, commenta la lettera ricevuta ieri dal prefetto Maria Laura Simonetti in risposta alla richiesta che fosse revocata al maresciallo Tito l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce con decorazione di Gran Cordone.
«Ringrazio intanto il prefetto per il suo interesse», dice De Carlo, «erano due anni che nessuno da Roma ci rispondeva in merito e ora, grazie alla sua intercessione, se non altro qualcuno si è interessato alla questione. Detto questo, siamo venuti a scoprire che l’onorificenza non si può togliere perchè la persona interessata è morta. “La revoca – leggiamo infatti nella lettera – oltre a richiedere l’accertamento dei fatti che giustifichino il giudizio di indegnità, presuppone l’esistenza in vita dell’insignito”. Siamo delusi e amareggiati per tutto questo: significa che la Repubblica conferisce medaglie allo stesso modo agli infoibati ed agli infoibatori».
Ma per De Carlo e per il comitato provinciale di Belluno dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, che insieme stanno affrontando questa battaglia, un motivo per vedere il bicchiere mezzo pieno c’è. Sempre nella stessa lettera, la Presidenza del consiglio dei ministri spiega che “sensibilizzata dal dramma delle foibe anche in sede parlamentare, ha richiesto al ministero degli Affari Esteri di riscontare l’esistenza in vita (che De Carlo ha già potuto verificare tramite canali propri) di Mitja Ribicic, Franjo Rustja e Marko Vrhunec, stretti collaboratori del presidente Tito e anch’essi insigniti di onorificenze al merito della Repubblica Italiana, e di effettuare gli opportuni accertamenti sulla situazione giudiziaria a carico di ciascuno riguardo ai crimini commessi durante il periodo bellico di cui fossero stati ritenuti responsabili”. In sostanza, l’anticamera per la possibile revoca delle onorificenze stesse.
«Abbiamo smosso le acque», conclude De Carlo, «e già è qualcosa; anche se francamente facciamo difficoltà a capire come non si possa cambiare una normativa che consente a chi si è macchiato di odiosi crimini di mantenere una alta onorificenza per la sola ragione di essere morto».
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