Torna a Longarone il timbro delle Poste

LONGARONE. Tra i numeri c’è ancora il fango rappreso, il manico di legno è scalfito dalla ghiaia e dall’acqua e la data del timbro datario è quella di centinaia di calendari delle case di Longarone travolti dall’onda: “-9 OTT. 1963”. Il piccolo timbro di metallo, legno e gomma è quello dell’ufficio postale della vecchia Longarone, spazzata via quella notte. Dopo oltre mezzo secolo lontano, chiuso in una scatoletta, ora è tornato a Longarone.

Il sindaco Roberto Padrin lo ha ricevuto nei giorni scorsi durante la visita in municipio la visita del bersagliere Angelo Fidenzi di Terni, soccorritore del Vajont, accompagnato da Alvise Peloso, presidente provinciale dell’Associazione bersaglieri. Con loro anche alcuni bersaglieri di Belluno e l’ex vicesindaco Luigino Olivier.
Fidenzi è tornato a Longarone 53 anni dopo quelle drammatiche giornate portando in dono, conservato nella seta blu di una scatolina, il datario raccolto all’indomani della tragedia sul luogo ove sorgeva l’ufficio postale della vecchia Longarone.
Autorizzato dal suo comandante, il giovane bersagliere lo portò con sé al momento del congedo ed ora lo ha voluto restituire alla comunità, a quelli che ancora ricordano il vecchio ufficio postale in piazza Margherita e soprattutto agli uomini e donne che lavoravano in quell’ufficio.
«È stato un bellissimo momento», racconta il sindaco Padrin. «Ho visto negli occhi di Angelo ancora tanta emozione e il ricordo vivo di quelle giornate che lo hanno segnato per il resto della vita. L’ho ringraziato a nome della comunità per averci riconsegnato quel timbro così accuratamente conservato, l’ho abbracciato, e, con lui, idealmente tutti i colleghi bersaglieri e degli altri corpi d’armata che diedero uno straordinario esempio di solidarietà».
La storia del Vajont, raccontano dal municipio, è fatta anche di piccoli oggetti di uso quotidiano spazzati via quella notte e che riaffiorano dopo anni di oblio: la pila di un vigile del fuoco che quella notte salì a Pirago dal ponte della ferrovia e si trovò davanti una fangosa pietraia «…Fra tutti noi vi era solo una pila. Tra macerie e rottami camminammo in quello che era il paese, ora solo una spiaggia…» .
La penna di Aristide Mocchetti, giovanissimo scout di Mestre, una biro conservata nella sua custodia con cui prendeva nota, nell’ufficio anagrafe di Palazzo Mazzolà risparmiato dall’onda, delle trepidazioni, del dolore e delle speranze dei sopravvissuti e degli emigranti.
Ulderico, vigile del fuoco che venne da Ancona quella mattina del 10 ottobre 1963, raccolse nel fango il quaderno a righe di Marinella e lo conservò per mezzo secolo come una reliquia. Nove pagine scritte, nove come i giorni di scuola di quell’anno e nelle pagine successive solo fango.
Non ultima, una madonnina da culla che un alpino di stanza ad Agordo lasciò prima di partire alla giovane sarta del gruppo Artiglieria da montagna che, dopo trent’anni, la riportò a Longarone tra le lacrime pensando a quel bimbo a cui era appartenuta: certamente un maschietto dal nastrino azzurro che ancora portava annodato.
Tutti questi piccoli oggetti di uso quotidiano, raccolti tra le macerie per salvare almeno una testimonianza di quella vita che era stata così brutalmente spezzata e quelli che arrivarono con i soccorritori, ora ritornano.
Oggetti importanti perché la memoria non si affievolisca e che trovano la loro collocazione nel memoriale al cimitero delle Vittime o nel museo “Longarone-Vajont, attimi di storia”, dove trova posto da qualche giorno il timbro datario delle Poste riportato a Longarone dal bersagliere Angelo.
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