Tragedia del Vajont: il "rumore" della frana diventa oggetto di studio
A quasi 50 anni di distanza i ricercatori ricercatori dell'Ogs, l'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale, e dell'Università di Padova esamineranno l'area di frana da un punto di vista elastico-acustico per capire cosa accadde il 9 ottobre 1963
LONGARONE. A distanza di quasi 50 anni dalla tragedia che ha causato oltre duemila vittime, il Vajont continua a far parlare di sé. Questa volta, però, in positivo. Il corpo di frana del Monte Toc, dal cui versante si staccò un frana gigantesca nel 1963, e alcuni settori della valle del Vajont saranno oggetto di uno studio congiunto.
Se ne occuperanno alcuni ricercatori dell'Ogs, l'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale, e dell'Università di Padova, nell'ambito di una convenzione della durata di un anno che i due istituti hanno sottoscritto da poco tempo, proprio per chiarire con le moderne tecnologie, cosa accadde allora.
La collaborazione, che si inserisce in un progetto avviato e coordinato dal Dipartimento di Geoscienze dell'Università di Padova (di cui è responsabile il professor Rinaldo Genevois), vede la partecipazione di Ogs grazie all'esperienza acquisita da anni dall'Ente nello studio dei fenomeni di dissesto idrogeologico, nei metodi di analisi e interpretazione dei dati di sismicità e dei fenomeni geofisici.
Lo studio esaminerà l'area di frana e dei dintorni da un punto di vista elastico-acustico, con tecnologie assai più moderne di quelle impiegate in passato. «L'analisi dei documenti esistenti sarà il punto di partenza», spiega Massimo Giorgi, responsabile scientifico del progetto per Ogs, coadiuvato da Roberto Francese, entrambi ricercatori del Dipartimento di Geofisica della Litosfera.
«Poi acquisiremo i dati geofisici in loco, e li elaboreremo per produrre un modello elastico-acustico della frana». Il risultante modello fisico-matematico della struttura interna della frana rivelerà se, durante il distacco del versante montuoso verificatosi 48 anni orsono, si sono determinati scivolamenti a diversa velocità e zone di rottura secondarie che hanno amplificato il disastro.
L'obiettivo successivo sarà trasformare il modello così realizzato in uno strumento previsionale da applicare in zone con analoghe caratteristiche geo-morfologiche e dinamiche, per evitare, ove possibile, il ripetersi di sciagure analoghe. «Il modello 3D che intendiamo ricostruire - dice ancora Giorgi - descriverà la caduta e la deformazione del terreno dell'intero versante, grazie all'analisi della velocità delle onde P (primarie, più veloci) ed S (secondarie, più lente) dell'ammasso roccioso, che daranno indicazioni sulle caratteristiche di elasticità delle rocce e del terreno franato». L'indagine avrà caratteristiche sperimentali, ma le sue ricadute avranno, com'è intuibile, portata molto più ampia.
I risultati potranno essere applicati non solo al Friuli Venezia Giulia, ma anche ad altre zone colpite da dissesto idrogeologico, un problema che affligge le aree del bellunese e buona parte del territorio nazionale. Per realizzare lo studio e supportare l'Ogs nelle prossime attività nel Vajont, la Regione nelle vesti dell'assessorato regionale all'Istruzione, Università e Ricerca) ha stanziato un finanziamento ad hoc.
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