Trampolino di Zuel: il simbolo dei Giochi 1956 si rifà il look ma passa il testimone a Predazzo

Costruito nel 1955 sul pendio di una collina al posto di quello in legno, per anni fu frequentato dai saltatori della grande scuola di Cibiana 
Trampolino Olimpico di Cortina d'Ampezzo-Da Rin-Perona
Trampolino Olimpico di Cortina d'Ampezzo-Da Rin-Perona

CORTINA

Il Trampolino olimpico Italia, a Zuel, resta un simbolo indiscusso dei Giochi di Cortina 1956. Per le Olimpiadi 2026 non sarà riaperto: le gare di salto si faranno a Predazzo, che dispone un di un impianto con 4 trampolini. Ma quello di Zuel sarà sistemato, ritinteggiato, abbellito. Il trampolino è stato costruito nel 1955 sulla stessa collina dove, fin dagli anni Trenta, ne esisteva già uno in legno. L’inaugurazione ufficiale del trampolino Italia avvenne l’8 dicembre 1955. La progettazione, i calcoli statici e gli studi furono curati dagli ingegneri Piero Pezzati, Guglielmo Holzner, Enzo Montovani, Luciano Berti, Reinhard Strauman. Dopo i Giochi, l’impianto ha ospitato competizioni nazionali e internazionali, gare di Coppa del mondo e il Gran Prix delle nazioni di salto con gli sci. I più assidui frequentatori del trampolino di Cortina erano gli atleti di Cibiana, dell’omonimo sci club. Il paese dei murales è stato per decenni fucina di saltatori, campioni di combinata nordica (sci di fondo e salto dal trampolino) ma anche di abili arrampicatori e corridori.



Amedeo De Zordo, classe 1939, saltò per la prima volta dal trampolino Italia a 16 anni. Gli si illumina il volto a raccontare le esperienze del salto che fu la sua grande passione fra gli anni’50 e’60.

«La prima volta che saltai a Cortina avevo 16 anni», ricorda De Zordo, «ed eravamo in tre: io, Dino De Zordo e Nilo Zandanel. Eravamo andati su senza chiedere il permesso a nessuno, carichi di entusiasmo e di voglia di provare il salto dagli 80 metri. Noi ci allenavamo a Cibiana, dove avevamo i nostri trampolini: alcuni piccoli, e ce n’erano 2 o 3 per frazione, creati da noi con la neve che all’epoca scendeva abbondante; e poi c’era un trampolino più grande, da 40-50 metri. E volevamo provare quello di Cortina. Siamo scesi dal trenino delle Dolomiti con i nostri pesantissimi sci lunghi 2,5 m e siamo saliti a piedi in cima. Nessuno voleva essere il primo a saltare. Poi abbiamo deciso. Prima è sceso Dino, io secondo e Nilo terzo. È stato bellissimo. Un’emozione grandissima. Poi ci sono arrivate le sgridate perché eravamo saliti senza permesso e senza nessuno che controllasse».



Cosa si provava durante il salto da quel trampolino?

«Un’emozione bellissima. Si volava. Prima c’erano l’attenzione e la prudenza, ma poi durante il salto si volava e basta».

Avete poi seguito i Giochi?

«Certamente, abbiamo visto tutte le gare e le cerimonie. Il nostro compagno Nilo fu anche portabandiera sebbene non gareggiasse nei Giochi. Il Comitato olimpico aveva coinvolto il nostro gruppo e ci aveva dato l’incarico di distribuire in Cadore i volantini con gli orari e i giorni di gara e andammo a vedere le prove del salto. Cibiana aveva tantissimi atleti che arrivarono a gare olimpiche e Mondiali di salto».

Nel 2026 Cortina rivivrà i fasti olimpici 70 anni dopo.

«Vedo positivamente l’evento. Certo, i tempi sono cambiati; ma speriamo che, oltre alle gare, le Olimpiadi servano anche per migliorare la viabilità e dare impulso al turismo. Noi all’epoca eravamo un gruppo che da Cibiana partiva a piedi, arrivava a Venas, prendeva il trenino e scendeva in Ampezzo. Grazie alla disciplina del salto abbiamo anche potuto usare per la prima volta il “treno grande” ossia la linea da Calalzo. Abbiamo girato il mondo e portato il nome di Cibiana ovunque. Oggi solo a Tarvisio ci sono ancora giovani dediti al salto. Sono cambiati i tempi ma lo spirito olimpico credo sia sempre lo stesso quindi ben vengano i Giochi 2026». —


 

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