Tre nuove opere al museo arrivate dalla Fondazione
BELLUNO. Sono arrivate lunedì nel museo civico di Belluno, dove si possono ammirare già da ora, tre opere di grande valore e importanza culturale per la città di Belluno, proprietà della Fondazione Cariverona, e che saranno esposte in futuro nella nuova sede del museo a Palazzo Fulcis. Le opere appartengono alla Fondazione dal 2006, quando le acquistò, su sollecitazione del consigliere Paolo Conte, da Unicredit che aveva intenzione di portare a Milano le opere che si trovavano nella sede di Piazza Martiri della banca. Sono state restaurate, e due anche esposte a Belluno nel 2011 in occasione della mostra donata dalla Fondazione al Comune. Ora, dalla sede della Fondazione a Verona, le opere tornano a Belluno e alla città.
Si tratta del dipinto di Domenico Falce, «Pianta prospettica di Belluno», datato 1690, dell’opera di Pietro Brancaleone, Antonio Lazzarini, «Baruffa tra zateri e biri nella Piazza del Duomo», del 1718, e del dipinto di Sebastiano Ricci, «La famiglia del satiro», 1720-30.
Sul sito del museo civico si spiega che «le prime due opere sono testimonianze fondamentali sulla storia e sull’urbanistica cittadina. In particolare la pianta prospettica, eseguita in onore del podestà Giovanni Antonio Boldù, e contenenti allusioni allegoriche alla prosperità e alla pace cittadina cui il nobile veneziano contribuì a realizzare, consente di osservare con grande chiarezza la struttura della città prima delle trasformazioni successive, compiute nel XIX secolo, con lo sviluppo dei borghi la disposizione delle mure e le aree ancora non edificate. La Baruffa è, invece, un curioso episodio, non altrimenti attestato dalle fonti storiche, che documenta, agli inizi del XVIII secolo, le tensioni tra gli operatori della fluitazione del legname in laguna e la Serenissima: l’episodio, oltre a configurarsi come gustosa scena di genere, si trasforma in una sorta di ex voto per alla presenza, nell’angolo superiore sinistro, della Vergine con il Bambino che giunge a placare gli animi. La parola “biri” del titolo si riferisce gli sbirri. Infine, la tela di Sebastiano Ricci completa la straordinaria collezione di opere dell’artista bellunese del museo: rappresenta un curioso episodio narrato da Esopo, che evidenzia la necessità di evitare tra le nostre amicizie coloro che hanno comportamenti ambigui ed è un soggetto che, già dipinto da pittori dell’età barocca come il tedesco Johann Liss, Ricci ha messo in scena più volte. L’esemplare ora a Belluno è uno delle prove più scintillanti del suo fare pittorico intorno al terzo decennio del Settecento».
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