Tubo esplosivo pieno di nitroglicerina scoppiò per il caldo, e partì l’incendio

L’esercito studia l’area con droni: possibile la presenza di altri ordigni, scoperte postazioni austriache della Grande Guerra



Ora è ufficiale: è stata l’esplosione di un ordigno bellico a innescare l’incendio che il 30 giugno ha bruciato otto ettari del Parco Naturale delle Dolomiti d’Ampezzo in località I Zuoghe. La conferma arriva dall’Esercito che, su richiesta delle Regole d’Ampezzo che gestiscono il Parco, sabato ha analizzato l’area con i droni.

La squadra sistemi aeromobili a pilotaggio remoto del Corpo militare speciale dell’Esercito italiano ha utilizzato sofisticati droni, attrezzati con sensori, termocamere e fotocamere, per le attività di rilievo e di monitoraggio del territorio. L’area resta interdetta in quanto potrebbero esplodere altri ordigni bellici.

«Dalle immagini raccolte dai militari dell’esercito si evince innanzitutto che l’incendio è spento», spiega Flavio Lancedelli, presidente delle Regole, «con le termocamere è stata infatti misurata la temperatura del terreno, che è al di sotto di 12 gradi. Quindi anche gli ultimi focolai che si erano accesi a fine luglio sono stati spenti da vigili dle fuoco, volontari antincendi boschivi di Auronzo, tecnici dei Servizi Forestali e della Protezione Civile».

È poi stato accertato che ad innescare l’incendio è stato un ordigno bellico, «una sorta di tubo carico di nitroglicerina», prosegue Lancedelli, «che veniva adoperato durante la Grande Guerra per aprire i reticolati. Evidentemente si è surriscaldato durante le caldissime giornate di fine giugno e la nitroglicerina è divenuta instabile a tal punto da innescare l’esplosione. Durante i successivi sopralluoghi sono state individuate altre bombe, due sono esplose già durante l’incendio».

L’area interessata dall’incendio, tra la Croda de r’Ancona e I Zuoghi, già colpita anche dall’uragano Vaia, che ha abbattuto diversi alberi, oltre cento anni fa era stato teatro della Grande Guerra. L’attività svolta dall’esercito ha permesso di verificare nel dettaglio la possibile presenza di ordigni bellici in superficie su tutta l’area investita dal fronte di fiamma e di rilevare all’interno del perimetro incendiato la possibile presenza di piante che presentino segni vegetativi attivi e vitali.

«L’incendio», continua Lancedelli, «è stato di particolare intensità e ha distrutto la vegetazione della zona interessata dal fronte di fuoco, formata da pino mugo e larice nonché pino silvestre e pino cembro. La zona non è ancora sicura e resta interdetta al transito in quanto sotto il ghiaione non si sa con certezza se ci possano essere altri ordigni inesplosi. Dalle foto emerge che in superficie non ci sono bombe, ma sotto non si sa. L’Esercito ora analizzerà i rilievi effettuati con i droni».

La documentazione fotografica prodotta dal Corpo militare consentirà di elaborare una mappa dettagliata delle differenti intensità del danno subito dalle superfici boscate percorse da incendio, per progettare in modo più mirato gli eventuali interventi di ripristino realizzabili nei prossimi anni. «Durante il monitoraggio aereo», rivelano dall’Esercito, «sono anche state rilevate alcune postazioni austriache risalenti alla Prima Guerra Mondiale, precedentemente ricoperte dalla vegetazione».

In quell’area, oggi chiusa al transito, teatro di aspri combattimenti soprattutto nel 1915, son state rinvenute negli anni numerose postazioni, gallerie, pallottole e reperti bellici. —
 

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