Tumori alla prostata il S. Martino si affida alle nuove tecnologie

Cure all’avanguardia nell’unità di Urologia dell’Usl 1 «Casi in aumento, ma la sinergia con altri reparti dà risultati»
Di Paola Dall’anese

BELLUNO. Crescono le neoplasie della prostata nel territorio dell’Usl 1. A dirlo è il primario dell’unità operativa di Urologia, Massimo Meneguolo, che sottolinea la bontà delle cure praticate al San Martino, grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie.

«Il 70% dei nostri interventi sono di oncologia», esordisce Meneguolo, «considerando che l’incidenza maggiore di tumori tra gli uomini riguarda proprio la prostata. Quello su cui puntiamo, quindi, è la multidisciplinarietà nel trattamento delle patologie, cioè il confronto con altre discipline, come la radioterapia o la chirurgia, per garantire una risposta ai problemi dei pazienti».

L’aumento di tumori prostatici deriva anche dall’incremento della richiesta del dosaggio del Psa, una proteina circolante nel sangue il cui valore cresce in varie situazioni, tra le quali le neoplasie. Neoplasie che possono essere accertate, però, solo con la biopsia.

Oggi, la diagnosi viene fatta su persone relativamente giovani (dai 50 anni in su) in assenza di disturbi.

«Una volta diagnostica la malattia», precisa il primario, «è necessario fare uno studio clinico e valutare globalmente il paziente, tenendo presente vari fattori: dall’età alla situazione medica generale, fino all’aggressività della malattia. A questo punto si può procedere con la terapia migliore, che può essere anche l’asportazione della prostata, con alcuni effetti collaterali come l’incontinenza (5%) e l’impotenza (80%)».

Ma si può decidere di procedere anche con la “sorveglianza attiva”, che prevede controlli clinici assidui e ripetuti per pazienti in una fase a basso rischio, oppure di eseguire la radioterapia. «In questi ultimi anni», spiega il direttore dell’Urologia, «in collaborazione con l’unità operativa di Radioterapia oncologica di Belluno, si è concordato un percorso terapeutico innovativo e all’avanguardia come viene eseguito in pochi centri in Veneto. E i risultati sono buoni, visto che l’85-95% dei casi trattati non presenta a distanza di 5-10 anni una recidività».

Il trattamento consiste nell’inserimento, in anestesia locale, tramite un’ecografo transrettale e in punti ben precisi della prostata, di tre piccoli semi d’oro denominati “fiduciale markers”. Questi semi servono da indicatori per il radioterapista che, durante la pianificazione del trattamento radiante, potrà avere una mappatura della ghiandola prostatica particolarmente precisa e di altissima qualità. «Questa metodica, altamente perfezionata, permette, rispetto alla radioterapia standard, l’esecuzione di una radioterapia guidata da immagini tridimensionali oppure in intensità modulata. In questo modo è anche possibile individuare perfettamente i confini della prostata e degli organi adiacenti: così sarà possibile posizionare ogni giorno il fascio radiante, mirando con estrema precisione la prostata. Ciò permette al paziente di sottoporsi anche a minori sedute di radioterapia (da 40 a 30)».

A breve sarà avviato anche un protocollo diagnostico con la Radiodiagnostica che prevede l’utilizzo della risonanza multiparametrica nella diagnosi del tumore della prostata. «I casi clinici selezionati, quelli ad esempio nei quali il Psa sia risultato piuttosto alto e in crescita, ma la biopsia sia negativa, eseguiranno la risonanza magnetica per rilevare aree sospette difficilmente individuabili con le tecniche tradizionali, così che l’urologo possa focalizzare in seguito i prelievi bioptici sulle aree sospette alla risonanza magnetica», conclude Meneguolo che aggiunge: «Per ingrossamenti della prostata stiamo pensando anche di utilizzare, tramite convenzione con ditte specializzate, il laser al tullio o verde per liberare velocemente le vie urinarie con poco sanguinamento».

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