Un cippo del 1753 ospita la targa di un caduto del 1915

AURONZO. Quel cippo era lì dall’ottobre 1753 ed era in definitiva un segno di pace. Insieme ad altri scandiva sulle aride pietraie del Monte piana la linea di confine che la speciale Commissione veneto-austriaca di Rovereto, dopo lunghe discussioni, aveva stabilito tra Auronzo e Dobbiaco, ovvero tra impero asburgico e repubblica di Venezia. Per Auronzo significava la fine, o quasi, di dolorose e spesso cruente diatribe coi vicini doblacesi, tanto che il comune fece celebrare per quella sospirata convenzione ben 30 messe di ringraziamento da don Tommaso Bombassei.
Ma che quella pietra granitica venisse un giorno a trovarsi su una delle linee di fronte più terribili della Grande Guerra e, dopo aver assistito a miserie e grandezze di quella lotta ineffabile, potesse divenire essa stessa testimone e memoria di eroismi, pochi l’avrebbero pensato.
Eppure quel discriminante di roccia serba per noi un duplice ricordo, come un’erma greca o romana: da una parte la secolare data del 1753 che ci riporta al tramonto della Serenissima, dall’altra la targa di un eroe caduto in quel regno di pastori nel più grande conflitto patito dall’Europa nella sua storia. Siamo lungo la linea di confine che ancor oggi separa la provincia di Belluno da quella di Bolzano, a ridosso di quel vallone detto “dei castrati” che fu contemplato anche da Giosuè Carducci nel 1892 e che udì i suoi auspici di una guerra contro l’Austria. Guerra invocata per annettere bellissime valli che il poeta Vate della III Italia da lì ammirava guardando verso nord e che considerava “nostre” per ragioni storiche e idrografiche.
Quegli auspici divennero realtà più di 20 anni dopo e proprio qui, non lontano dalla Piramide Carducci eretta in ricordo di quella visita illustre, cadde l’avvocato Giuseppe Nicolò De Pluri, appartenente ad una nobile casata cadorina. Nato a Pieve il 28 febbraio 1882, si era trasferito con tutta la famiglia a Venezia, dove s’era sposato con Maria Mazzaro.

Nei primi mesi del 1915 rispose alla chiamata alle armi e divenne Tenente della 268a compagnia del Btg. “Val Piave”, assieme al fratello Giovanni. Dopo essere stato impiegato a Forcella Lavaredo, il 4 giugno fu inviato a Monte Piana e solo tre giorni dopo dovette affrontare il deciso attacco portato nottetempo dagli austriaci al tavolato meridionale del monte. Come racconta Antonio Berti, Giuseppe De Pluri, resistendo al dolore di una gamba ferita, alla testa del suo plotone punta sulla Piramide Carducci e si avventa alla baionetta sul nemico. Colpito da una pallottola di mitragliatrice si abbatte, ferito a morte, e cadono con lui nella mischia 22 dei suoi alpini. Uno dei nostri, fatto prigioniero e poi riuscito a fuggire, raccontò che il comandante austriaco, visto cadere il Tenente De Pluri, approssimandosi a lui, gli aveva stretto la mano e riconsegnata la pistola. La sera stessa, a Landro, in località “Nasswand” (Sorgenti ), il De Pluri moriva: era il 7 di giugno, l’indomani della Festa dello Statuto. Alla sua memoria venne accordato all’inizio solo un encomio solenne, ma esso fu tramutato in seguito nella medaglia d’argento. Su una piccola lastra di bronzo incastonata nel vecchio cippo di confine si legge oggi: “Questa pietra - che fu già segno del vecchio confine - ben reca incisi - il nome e la gloria - dell’Avvocato Ten.te Giuseppe De Pluri - ufficiale del 7° alpini - che qui accanto - il 7 giugno 1915 - respingendo il primo assalto nemico - cadde colpito a morte - primo - fra i più prodi e fra i primi”.
Ricordiamo per inciso che al Tenente De Pluri venne intitolato nel dopoguerra un rifugio sul Monte Tranego e che l’Amministrazione di Pieve di Cadore dedicò poi al suo nome la gradinata accanto al Municipio.
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi