Un medico bellunese in Sierra Leone per curare l’ebola

Paolo Bratti è un internista del pronto soccorso di Agordo Partirà mercoledì e resterà in Africa quattro mesi
Di Paola Dall’anese

BELLUNO. Ci sarà anche un medico bellunese nell’inferno della Sierra Leone in prima linea contro l’ebola. Paolo Bratti, 38 anni, medico al pronto soccorso dell’ospedale di Agordo da poco più di tre anni, partirà mercoledì per la Sierra Leone, inviato dall’associazione Medici con l’Africa- Cuamm di Padova. Rimarrà in Africa quattro mesi. Laggiù ad attenderlo ci sarà anche un chirurgo veneto.

Dottor Bratti, come mai questa scelta della Sierra Leone?

«Pur nella gioia di fare una cosa che mi piace e da cui riceverò tanto, mi accosto a questa esperienza con il timore di chi sa che, comunque sia, si troverà sempre non abbastanza preparato, non abbastanza forte. A Lunsar avrò un piccolo incarico di soli quattro mesi. Per me è la prima volta in Sierra Leone e in quest'ospedale».

È la sua prima esperienza in missioni di questo tipo?

«No, nel 2010 sono rimasto per quasi un anno in Angola, a Chiulo».

Lei va in prima linea in un Paese dove c’è ancora l’emergenza ebola.

«L'ospedale di Lunsar, a quel che ne so, è rimasto chiuso “de facto” durante la fase più acuta dell'epidemia di ebola e ora che i casi sono in calo si sta tentando di riaprirlo. Ma si deve cercare un compromesso tra la sicurezza dei pazienti e degli operatori sanitari (cioè individuare e isolare tutti i casi di ebola) e lo svolgimento delle abituali funzioni. Non andrò a occuparmi direttamente dei malati di ebola, né dell'arresto dell'epidemia, ma dovrò aiutare i miei colleghi a uscire dall'emergenza sanitaria (riguardante tutte le patologie e tutti i pazienti) che l'ebola ha procurato. Mi occuperò della medicina interna (cioè di tutti i casi non chirurgici) e assieme al resto del personale locale o espatriato, dovremo organizzare nuovamente le attività assistenziali».

Come nasce la sua collaborazione con il Cuamm?

«Del Cuamm, che conosco da anni, quando ero studente a Padova, mi ha sempre colpito lo stile poco mediatico, quasi silenzioso; la predilezione per le zone rurali dove nessuno vuole andare e dove la vita dei cooperanti (per quanto enormemente più facilitata) si avvicina un po' di più a quella della gente che vanno a servire. Mi piace anche la fedeltà a certi posti, a certi ospedali dove magari lavora da 40 anni e più, senza progetti eclatanti e forse anche senza risultati straordinari, ma creando un legame che è un messaggio, anche più grande delle cure».

Come hanno preso questa notizia i suoi colleghi ad Agordo?

«Devo ringraziarli tutti e in particolari modo il primario Favi, perché non solo non hanno accolto con disappunto il probabile scompiglio nei turni, ma anzi mi hanno incoraggiato e non hanno mancato di manifestarmi la loro approvazione e simpatia. Un grazie agli infermieri del pronto soccorso, magnifica squadra di cui mi mancherà sicuramente il supporto morale e d'esperienza».

Quando tornerà dovrà osservare un periodo di quarantena?

«Speriamo tutti che a fine giugno, quando dovrei tornare, l'epidemia sia stata dichiarata conclusa».

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