Un secolo di alpinismo scorre al rifugio Padova
DOMEGGE. Oltre un secolo di alpinismo del Cadore si è dato appuntamento ieri pomeriggio al rifugio Padova, sopra Domegge.
In parte fatto di ricordi, di storie, di eventi lontani nel tempo, e spesso memorabili; in parte racchiuso nei volti degli alpinisti di oggi, chiamati a raccolta del gestore del rifugio Paolo De Lorenzo, sulla spinta di una precisa esigenza.
«Dante Colli, qualche tempo fa, mi fece riflettere sul fatto», ha spiegato De Lorenzo, «che gestisco non solo un rifugio, ma un pezzo di storia, che ha più di 100 anni, ma che continua ancora oggi a scrivere pagine importanti di alpinismo. Da quel momento ho deciso di raccogliere in un libriccino le vie nuove ed in un piccolo museo i cimeli degli Spalti di Toro».
E proprio Dante Colli, accademico del Cai, ha aperto l'incontro tratteggiando gli anni eroici dell'alpinismo, dai primi pastori, cacciatori e guide, fino alle imprese di Tita Piaz, venuto all'inizio del '900 dalla natia Val di Fassa a scoprire il fascino di queste montagne. Seguì poi la stagione epica di Wolfgang Herberg che, a partire dal 1932 e per dieci anni, in compagnia del più giovane Vincenzo Altamura, fu protagonista di scalate e di descrizioni improntate ad un amore mai sopito per gli Spalti di Toro. A lui, ingegnere poeta, si devono pagine indimenticabili.
«Si affretti colui che desidera vagare e tuffarsi in questa solitudine», scrisse fra l'altro, «prima che queste contrade vengano civilizzate».
A sottolineare la meraviglia di un ambiente fantastico, che mantiene ancora oggi un aspetto incontaminato. E di cui ieri si è voluta fare la storia, «perché una comunità che dimentica non ha futuro», ha sottolineato il sindaco di Domegge Lino Paolo Fedon. Sono loro, gli alpinisti di una volta, ad aver lasciato sulle cime tanti cimeli che Apollonio Da Deppo e Matteo De Martin hanno a poco a poco raccolto e racchiuso in un prezioso museo della memoria, che fa parte integrante ormai del rifugio e che da solo merita una visita. Dai chiodi ai libri di vetta, a piccoli messaggi racchiusi nelle pagine delle riviste dell'epoca e poi lasciati in qualche fessura della roccia. Testimonianza per chi anni dopo avrebbe ripercorso il loro cammino. E qui si è giunti alla domanda di fondo: cosa è oggi l'alpinismo? La ricerca dell'avventura, di nuove vie, di ascese sempre più complesse, forti anche di tecnologie più spinte e di una preparazione atletica a volte esasperata? Oppure ripercorrere, rivivere, riconsiderare le vie segnate da altri cogliendone, in contesti ovviamente diversi, le fatiche e le emozioni?
Un bel dibattito, orchestrato con la consueta maestria dal giornalista Rai Bepi Casagrande, sui cui si sono cimentati dal veterano Alziro Molin a Icio Dall'Omo, da Nani De Biasi a Gianmario Meneghin, da Renato Peverelli a Roberto Sorgato.
«Non siamo più bravi di chi ci ha preceduti», ha sostenuto Dall'Omo, «viviamo sulla loro esperienza. L'alpinismo è un'attrazione fatale, un viaggio mistico verso l'avventura, evitando però il rischio eccessivo».
Nella consapevolezza che, comunque, la montagna presenta molte insidie, spesso imponderabili. E qui il ricordo è andato, con un applauso, alle tre guide scomparse da poco proprio sul vicino Cridola.
Stefano Vietina
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