Una cella a fuoco nel carcere di Baldenich
BELLUNO. Brucia una cella in carcere. La sezione è la stessa Articolazione sanitaria mentale destinata ai detenuti semi-infermi di mente, in cui domenica mattina l’agente della polizia penitenziaria L.P. era stato sequestrato e picchiato da un nigeriano arrivato a Baldenich solo la sera prima da Reggio Emilia (deve rispondere dell’omicidio di un uomo di Crotone).
Lunedì, invece, il fuoco sarebbe stato appiccato da un ergastolano di nazionalità italiana, al quale viene addebitato lo stesso reato.
Nel frattempo, gli agenti di servizio sono saliti da uno a due, di conseguenza è stato possibile dare l’allarme e spegnere l’incendio. L.P., invece, era da solo (a proposito sta ancora osservando i sette giorni di malattia certificati dal Pronto soccorso dell’ospedale San Martino per traumi al costato a un braccio e a un’anca).
Il sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe continua a monitorare la situazione nella casa circondariale cittadina: «Il gravissimo episodio capitato domenica mattina ha spinto la direzione almeno ad aumentare la sorveglianza», sottolinea il delegato triveneto Giovanni Vona, «si tratta di una sezione molto pericolosa e c’eravamo permessi di segnalarlo già in tempi non sospetti. Non dovrebbe nemmeno esserci, se è per questo. Ma a distanza di poche ore quest’altro detenuto ha appiccato il fuoco. Tutto il materiale contenuto nelle celle è ignifugo, ma questo non vuol dire che non produca un fumo non solo fastidioso, ma anche tossico. In ogni caso, i due hanno potuto venire a capo della situazione».
Il Sappe aveva chiesto un incontro urgente alla direzione del carcere, ma il faccia a faccia non c’è ancora stato: «Un silenzio offensivo», sottolinea Vona, «non potrebbero passare più di 48 ore da una richiesta motivata, tuttavia stiamo ancora aspettando un segnale concreto. Credo che dovremo rivolgerci direttamente all’organismo superiore, che in questo caso è il provveditorato di Roma. Intanto, l’aggressore nigeriano non poteva certo continuare a godere del regime aperto, dalle 8 alle 20 almeno rimane chiuso nella sua cella. Ma dobbiamo confrontarci al più presto con la direzione, perché la situazione dell’Articolazione sanitaria mentale non è più sopportabile».
Gigi Sosso
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