«Una persona semplice che qui si rilassava»

Il ricordo di don Lise: «Non dimentico il giorno in cui stava pregando e non capivamo dove fosse»
LORENZAGO. «Ma lei è il Papa? » . «Sì». «Ma il Papa vero? » . Così una signora di Costalta, in Comelico si è avvicinata a Giovanni Paolo II mentre, uscendo dal bosco sopra il paese, si affacciava su un pascolo trent’anni fa. La visita al caratteristico borgo di San Pietro di Cadore era tutt’altro che improvvisata. La passeggiata l’aveva desiderata, studiandola in ogni particolare, monsignor Maffeo Ducoli, allora vescovo di Belluno – Feltre. Era proprio lassù che Ducoli, come testimonia Giorgio Lise, allora segretario del vescovo, oggi arcidiacono di Agordo – voleva portare Giovanni Paolo II, che sapeva amante della montagna e, in particolare, di un ambiente come quello cadorino: «L’anno prima, nel 1986», ricorda Lise, «decidemmo di trascorrere un periodo di riposo nella vecchia canonica di Costalta. A Ducoli piaceva molto quel verde, si era innamorato di quei pascoli e di quelle crode che vedeva in lontananza. Un giorno il vescovo mi confessò: chissà come sarebbe contento il Papa a trascorrere qualche giorno fra queste montagne, in mezzo a questo Creato».


L’auspicio si trasformò in poche settimane in un impegno preciso a reperire una casa che potesse essere adatta per il Papa e il suo seguito: «Ci guardammo attorno. Pensammo agli ambienti di Palù San Marco, sopra Auronzo, ma riscontrammo che erano troppo grandi e poco silenziosi. Verificammo anche la disponibilità di alcune case alpine. Allora il Trevigiano ne aveva parecchie in Cadore. L’orientamento ultimo cadde sul castello di Mirabello e la villetta dei vescovi, a qualche centinaio di metri. Ducoli ne parlò con monsignor Antonio Mistrorigo, allora vescovo di Treviso. Mistrorigo accolse con entusiasmo la prospettiva di portare il Papa, ma ci disse di fare tutto noi, perché lui non se la sentiva di portare avanti un iter così complesso».


Con la certezza della casa di Mirabello, sopra Lorenzago, scattò il pressing di Ducoli nei confronti di monsignor Stanislao, allora segretario di Wojtyla. Don Lise gli spedì alcuni volumi illustrativi del Cadore e dopo un po’di tempo venne a sapere che il Papa non solo li lesse, ma rimase entusiasta del posto. Un giorno Wojtyla confidò ai collaboratori: «Vorrei stendermi per terra, sotto un bosco, e lì riposare con tranquillità». «È fatta» si dissero Ducoli e Lise, quando vennero a saperlo. C’era però da convincere la Segreteria di Stato a non mettere il bastone fra le ruote. Un soggiorno pontificio lontano da Castel Gandolfo era inverosimile. Un fatto storico, se fosse accaduto. Ducoli, che aveva buoni agganci in Vaticano, ne parlò con il cardinale Casaroli, allora sottosegretario di Stato. Casaroli promise che non avrebbe ostacolato questa vacanza, anche perché riteneva che il Papa ne avesse bisogno.


A quel punto il vescovo tornò alla carica del segretario Stanislao e di Camillo Cibin, allora comandante della sicurezza vaticana, i quali vennero in sopralluogo a Lorenzago, a Costalta, in Val Visdende, decidendo che le vacanze di Giovanni Paolo II in Cadore erano senz’altro proponibili. «Papa Wojtyla era una persona molto semplice, lo ricordo puntualmente come riusciva a distendersi in quella canonica di Costalta. Mentre gli altri parlavano, lui spesso sorrideva e mi faceva l’occhiolino. Era un grande contemplativo e non posso dimenticare», testimonia ancora mons. Lise, «quel giorno in Val Visdende in cui, dopo la messa, si ritirò in preghiera per un quarto d’ora, mentre tutti lo cercavano perché non sapevano dove fosse finito».


Lise aveva allora molta frequentazione con la villetta del castello Mirabello dove soggiornava il Papa: «Ricordo con simpatia un giorno quando, dopo essersi fatto la doccia, il Pontefice si presentò in sala con la veste bianca indossata alla meglio e con ancora il borotalco sulla faccia. Ci mettemmo tutti a ridere. Wojtyla era il capo della Chiesa che interpretava questo suo ruolo senza disdegnare i comportamenti più semplici, quelli che gli venivano più naturali. Spesso, ad esempio, di ritorno dalle escursioni, passeggiava a piedi nudi sull’erba della casa di Lorenzago per gustare la rugiada».


Numerose le cerimonie che nelle prossime settimane faranno memoria dei suoi soggiorni a Lorenzago e in Cadore.
(fdm)


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