Una soffiata ha fatto partire l’inchiesta
BELLUNO. Non solo il quarto d’ora “accademico” per caffè e brioche al mattino, rigorosamente in un bar ben distante dal posto di lavoro: c’era anche chi usciva per sbrigare faccende private e chi se la prendeva ancora più comoda, anche un’ora e mezza per pranzare nei ristoranti del centro. Ad accomunare tutti, dipendenti e capi ufficio, c’era però lo stesso vizietto: si timbrava il cartellino, rigorosamente in orario, solo all’inizio e alla fine della giornata di lavoro. Di tutto quello che succedeva durante non doveva restare traccia. E chi sapeva, taceva.
Ma quelle repentine uscite subito dopo l’inizio della giornata lavorativa, quelle spensierate passeggiate per il centro, le lunghe soste nei bar dei dipendenti dei servizi forestali regionali, più precisamente del “Bacino idrografico Piave-Livenza” di Belluno, non sono passate inosservate. Qualcuno si è stufato di veder bighellonare dipendenti pubblici e ha spifferato tutto ai carabinieri. Anzi, più d’uno visto il numero di segnalazioni arrivate, anche da privati cittadini.
È partita così, già nell’estate 2015, l’inchiesta (ormai in fase di chiusura) della Procura di Belluno che vede al momento 12 persone iscritte sul registro degli indagati. Gran parte di queste hanno ricevuto proprio in questi giorni l’informazione di garanzia e sono già state convocate al Comando provinciale dei carabinieri.
Posizioni, quelle degli indagati, che si presentano comunque definite, certificate dai circa quattro mesi di appostamenti e pedinamenti in borghese dei carabinieri (proseguite fino allo scorso autunno), da foto e dai video ripresi dalle telecamere che i militari, su delega del procuratore Francesco Saverio Pavone, avevano posizionato agli ingressi e alle uscite dell’ufficio di via Caffi 33, un occhio elettronico era posizionato anche sulla macchinetta per beggiare i tesserini. Una seconda fase dell’inchiesta è scattata a fine 2015, quando i militari hanno perquisito l’ufficio di via Caffi, acquisendo documenti e informazioni inerenti le posizioni lavorative delle persone coinvolte.
Quello che è emerso dalle indagini dei carabinieri, ufficialmente ancora in corso, è che comunque l’assenteismo dei forestali regionali non solo era diventata una pratica consolidata, riscontrabile quotidianamente: non era propriamente un affare per pochi, visto che su 35 dipendenti totali in organico alla sezione periferica bellunese del Bacino idrografico Piave-Livenza, sono state ben 19 le posizioni irregolari rilevate, anche se per sette dipendenti le assenze ingiustificate si limitavano a pochi minuti. I più “arditi” riuscivano ad accumulare anche una quarantina di ore retribuite (ma non lavorate) in un mese.
Le accuse per dipendenti e funzionari sono pesanti: falsa attestazione dell’orario di lavoro e`alterazione dei sistemi di rilevamento delle presenze lavorative, ma gli inquirenti stanno valutando anche l’ipotesi di truffa e quella di omessa vigilanza dei dirigenti. Capi d’imputazione che prevedono la reclusione da uno a cinque anni e una multa da 400 a 1.600 euro. Oltre (ci mancherebbe) all’obbligo di risarcire il danno patrimoniale e il danno all’immagine dell’amministrazione.
Laconico, in proposito, il commento dell’assessore regionale “competente” Gianpaolo Bottacin (programmazione per la salvaguardia ambientale, tutela del suolo e dell’aria, ciclo integrato dell’acqua, difesa del suolo, foreste e antincendio boschivo). «C’è un’indagine ancora in corso e personalmente ho massima fiducia nella magistratura, che va lasciata lavorare. Per questo motivo non voglio rilasciare dichiarazioni. Una cosa, tuttavia, mi sento di poterla dire: chi ha sbagliato è giusto che paghi».
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