Una viticoltura sostenibile in Valbelluna

Al convegno organizzato a Mel alcuni esempi nel Nordest che hanno unito anche una politica turistica
epa01102502 Port wine-grapes are harvested in the vineyard of Wunderlich Wine-cellars in Villany, 215 kms south of Budapest, Hungary, 27 August 2007. Due to the warm weather the vintage began twenty days earlier than usually in the Villany wine region. Wine-grower expect excellent wines made of this year's vintage. EPA/FERENC KALMANDY HUNGARY OUT*************** TRADUZIONE ***************le vino-uve port epa01102502 sono raccolte nella vigna delle Vino-cantine di Wunderlich in Villany, un sud dei 215 kms di Budapest, Ungheria, il 27 agosto 2007. dovuto il tempo caldo l' annata ha cominciato più presto solitamente venti giorni nella regione del vino di Villany. il Vino-coltivatore prevede i vini eccellenti fatti dell' annata relativa a quest'anno. EPA/FERENC KALMANDY UNGHERIA VERSO L'ESTERNO
epa01102502 Port wine-grapes are harvested in the vineyard of Wunderlich Wine-cellars in Villany, 215 kms south of Budapest, Hungary, 27 August 2007. Due to the warm weather the vintage began twenty days earlier than usually in the Villany wine region. Wine-grower expect excellent wines made of this year's vintage. EPA/FERENC KALMANDY HUNGARY OUT*************** TRADUZIONE ***************le vino-uve port epa01102502 sono raccolte nella vigna delle Vino-cantine di Wunderlich in Villany, un sud dei 215 kms di Budapest, Ungheria, il 27 agosto 2007. dovuto il tempo caldo l' annata ha cominciato più presto solitamente venti giorni nella regione del vino di Villany. il Vino-coltivatore prevede i vini eccellenti fatti dell' annata relativa a quest'anno. EPA/FERENC KALMANDY UNGHERIA VERSO L'ESTERNO

MEL. Una viticoltura sostenibile è possibile in Valbelluna? A questo ha provato a rispondere il convegno organizzato all’interno della manifestazione “Radicele” promosso dalla pro Loco Zumellese. Sul tavolo dei relatori Enrico Peterlunger, professore dell'Università di Udine che ha spiegato al numeroso pubblico presente in sala lo sviluppo e la ricerca di viti resistenti alle malattie come la peronospora e l’oidio. Insomma, la ricerca di varietà che possano resistere alla malattia senza necessitare di fitofarmaci.

«La vite ha un problema grave che è quello di difendersi dalle malattie presenti in natura», ha spiegato Peterlunger, «e nel 1998 abbiamo iniziato un programma di miglioramento genetico, tramite incroci, per realizzare un tipo di vite resistente a malattie quali la peronospora. La vite è una delle specie nelle quali il miglioramento genetico è meno sviluppato rispetto ad altre colture. Allora con l’equipe universitaria di Udine e altri enti abbiamo provato a vedere di riuscire a far qualcosa incrociando genitori suscettibili, come, ad esempio lo Chardonnay, Cabernet e Merlot a genitori resistenti».

La spiegazione ha poi ripercorso le leggi Europee che hanno normato la vinificazione nel continente e di conseguenza anche in Italia. «Nel 1800 sono arrivate tre malattie dall'America: l'oidio, che si tratta e si debella con lo zolfo, la peronospora e la fillossera che attacca le radici e fa morire la pianta», ha spiegato Peterlunger, «allora si è pensato, a quei tempi, a sviluppare gli ibridi come il Clinton, il Noah, il Bacó, l'Isabella, da cui si ricavava il fragolino. Ma la qualità del frutto di queste uve non era così buona. Negli anni '60 però l'Europa proibì gli ibridi che a quel tempo coprivano il 35% di produzione italiana. Nel 2007 l'Europa tolse questa proibizione e si tornò all’origine. Il problema, che è molto sentito anche oggi, è quello di ridurre l'uso dei fitofarmaci: i viticoltori prima che dall'Europa arrivino delle proibizioni devono trovare una soluzione a questo problema. Così nel 1998 abbiamo avviato gli incroci e poi fatto il sequenziamento del Dna della vite. Conoscendo il Dna puoi conoscere molti caratteri di resistenza della vite, ma occorrono 15 anni per capire se una varietà potrà essere valida».

È toccato poi a Marco Stefanini, ricercatore della fondazione Edmund Mach e dell’istituto agrario di San Michele all’Adige, portare l’esempio della valorizzazione viticola nella valle del Chiese. «In questa valle, più vicina a Brescia che a Trento», ha spiegato Stefanini, «avevano un vitigno, il Bacó, non più coltivabile, e volevano valorizzarlo con dei vitigni che noi stavamo valorizzando, degli incroci, nuovi, che loro poi potevano sviluppare in autonomia. Gli stessi produttori si sono quindi consorziati in una cooperativa e ci sono ora dieci vitigni, per metà bianchi e metà rossi, che hanno avuto dei risultati buoni. Hanno 700 potenziali ettari di coltivazione, nella quale si coltiva anche altro, come il mais, l'uva Isabella per il consumo fresco. Da questo loro sono partiti anche con una politica turistica: hanno recuperato malghe e percorsi e possono offrire ai turisti un prodotto vinicolo del territorio».

Valentina Damin

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