Un’avanguardia inglese in aiuto ai partigiani bellunesi
PONTE NELLE ALPI. Il 25 aprile 1945 è riconosciuto come il giorno in cui l’Italia venne liberata dalle truppe nazifasciste. Ma in quella data il territorio bellunese era ancora occupato e ci volle una settimana prima che potesse considerarsi veramente libero.
Non a caso, il 1° maggio di ogni anno le cerimonie in località La Rossa, nel capoluogo, ricordano gli eccidi avvenuti proprio in quel giorno. Giovanni Bortot, classe 1928, già amministratore pontalpino e deputato, settant’anni fa era un giovane partigiano, con il nome di battaglia “Ardito”, e conserva ancora ricordi vividi di quel lasso di tempo tra il 25 aprile e il 1° maggio.
Ricordi impressi anche nel suo libro, recentemente pubblicato dall’Isbrec, “Militanza politica e amministrazione”. «Nei giorni precedenti al primo maggio le diverse formazioni partigiane avevano espugnato i presidi tedeschi di Canè e Ricomes a Limana, ma anche di Trichiana e di Puos d’Alpago», spiega Bortot. «Nella zona di Limana operavano una ventina di uomini del Battaglione “Fulmine”, poi diventato Brigata “Mazzini”. Il 7° Alpini aveva liberato Levego, Castion e Trichiana. Nell’ultima settimana prima della liberazione definitiva, quindi, la Valbelluna era stata di fatto espugnata».
E Bortot ricorda ancora come se fossero accaduti ieri gli avvenimenti tra la sera del 30 aprile 1945 e il giorno successivo. «Nella serata del 30 avevamo attaccato al bivio di Ponte nelle Alpi la colonna tedesca che si ritirava verso il Cadore», dice ancora. «La squadra “Nembus” (che operava tra Ponte e Alpago come distaccamento della “Mazzini”, ndr) si era appostata sopra l’attuale Rione Santa Caterina. Avremmo voluto attaccare i tedeschi, ma la loro superiorità, sia per numero che per armamento pesante, ci fece desistere». La svolta fu alle 7 del mattino del 1° maggio, quando il colonnello Tilman, che allora era maggiore, fece arrivare a Belluno da Vittorio Veneto un’avanguardia inglese composta da sette autoblindo.
«Avrebbero dovuto andare a Trieste», precisa Bortot, «ma un aiuto fu portato comunque a Belluno. Ci unimmo agli inglesi e arrivammo fino in località La Rossa, dove trovammo uno sbarramento di fuoco. Ci riparammo dietro la chiesetta. A un tratto le autoblindo fecero dietro front e anche noi dovemmo ritirarci. Già alle 8 del mattino eravamo comunque riusciti a far defluire molti tedeschi verso il bivio di Ponte. Solo più tardi i caccia alleati cominciarono a mitragliare le truppe tedesche alla Veneggia e alla periferia di Belluno. I rinforzi inglesi arrivarono poi alle due del pomeriggio a Fiorane, dove c’è il cementificio». La resa tedesca arrivò tra le quattro e le cinque: «Una colonna di soldati spuntò dopo la curva dei “Filippi”. All’altezza dello stabilimento “Mangiarotti”, vedemmo un tedesco che innalzava un drappo bianco su un’asta: sotto una fine pioggerellina, era la resa». (m.r.)
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